Ci sono momenti – e questo è senz’altro uno di quelli – nei quali il nostro sentimento verso quel che accade diventa prioritario. Oggi siamo impauriti, sbigottiti, arrabbiati. La bomba di Brindisi e il terremoto sono stati capaci di creare un clima nazionale. Inevitabile. Se non fossero accadute queste cose sarebbe stato molto meglio per tutti. Ma sono accadute e di fronte al dato l’unica libertà che abbiamo è quella di attribuire un significato.
Due fatti scollegati che però incidono sul corpo unitario della nostra società e interrogano il nostro grado di civiltà. Tremiamo dalle fondamenta dei mattoni e del senso. Perché una casa è un progetto e anche una figlia che va a scuola è un progetto. E i progetti sono la nostra volontà e le nostre speranze declinate al futuro. Sono la storia di noi come vorremmo che andasse.
Leggo molti pensieri accorati in giro per la rete – noi trattiamo male la natura e la natura si vendica – e non riesco ad essere d’accordo. La natura non si vendica di niente, cerca solo di sopravvivere come può e comunque le profondità della terra non reagiscono alle industrie chimiche. Il punto è che tutto quello che stiamo guardando come un teatro con diversi attori è in realtà un corpo solo espresso nelle sue diverse parti.
Siamo noi i genitori di Melissa. Siamo noi Melissa. Siamo noi l’attentatore. Siamo noi che speriamo che venga fermato subito. Progettiamo e sabotiamo il progetto. Amiamo e colpiamo. Tremiamo nelle nostre case quando c’è il terremoto e siamo ancor più sbalorditi perché il terremoto avviene in una zona non sismica. Anche il Sindaco di Brindisi è espressione di questo sbigottimento quando dice: Le scuole di Brindisi sono sicure. Niente è sicuro. Il doppio e il multiplo che ci portiamo dentro lavorano a destabilizzare ogni idea di identità unitaria e apollinea che possiamo avere.
Ma la casa che crolla ha un valore. Melissa che muore ha un valore. Se riusciamo a mettere da parte per un momento – in modo forse impopolare – il sentimento che ci sta travolgendo tutti compreso chi scrive, abbiamo una chance di coglierlo. La torre dell’orologio mostra nel suo crollo tutti i mattoni di cui era fatta. Quel che si dava per scontato come intero eccolo decomposto dal processo di destrutturazione del terremoto. Melissa ci fa fare l’ipotesi di perdere un figlio in quel modo. Di perderlo in qualsiasi modo. Ed è un’ipotesi terrificante. Destruttura l’intero che diamo per scontato. Ci mostra i mattoni del nostro cuore uno per uno.
Ho ancora pensieri della cui confusione chiedo scusa a chi legge. Ma sento che questa è una chiamata a guardare con amore ogni parte che abita in noi, anche quella dell’attentatore, perché sappiamo benissimo che c’è e che gode di ottima salute. Il terremoto è – come ogni crollo e ogni progetto distrutto – una chiamata a sentire profondamente tutto quel che non riusciamo a far dialogare dentro e intorno a noi. Mattoni che perdono contatto, si scollegano e crollano. Uomini che perdono il contatto e azionano bombe. La distanza che c’è fra noi e gli altri è la stessa che c’è fra noi e noi stessi. L’attentatore è un mattone scollegato dal resto della società che vuol crescere e che progetta futuro.
Possa questo sorriso di Melissa rimanere dentro di noi.
“Uomini che perdono il contatto e azionano bombe. La distanza che c’è fra noi e gli altri è la stessa che c’è fra noi e noi stessi.”
Ecco, non sapevo bene come dirlo.
Per questo, forse (sento molta confusione anche io), mi provoca più terrore l’attentatore del terremoto. La natura è di per sè imprevedibile e selvaggia, nasciamo e già lo sappiamo. Scoprire che anche la nostra natura (la nostra di uomini, ma anche proprio la nostra di singoli) è imprevedibile e selvaggia è un lungo percorso fatto di tanta inquietudine e paura. Di incontrare il mattone scollegato, o di essere, il mattone scollegato, anche solo per una volta o per un giorno.