Qualche giorno fa, durante un corso a dei writers professionisti, uno di loro mi ha posto una domanda all’apparenza banale, che ho liquidato con poche parole. La domanda era: “Come facciamo a sapere quanto e cosa c’è di autobiografico in tutto quello che scriviamo” ?
    La cosa mi è sembrata nell’immediato di poca importanza. E’ sempre un po’ tutto autobiografico quando scrivi no ? Quello che dico sempre in questi casi è che l’importante è essere personali senza diventare privati. Bella formula. Già. Se non fosse che la domanda era profonda e intelligente molto più di quanto mi fosse apparsa a un primo momento. Perché guidando sulla strada del ritorno pensavo alla sorella gemella di questa domanda, che suona così: “Che cosa ce ne frega di scrivere se non scriviamo di noi ?”
    Giusto. Lo penso da quando me l’hanno insegnato: non scrivere niente che tu non conosca. Al tempo stesso se non sei mai stato su un’astronave devi poter scrivere Alien. Perché, come insegna il manuale, lo sceneggiatore deve avere immaginazione. Ma la risposta non è soddisfacente ed è contraddittoria. O l’una o l’altra, non se ne esce.
    Poi mi capita, qualche giorno dopo, di entrare in un bar. E c’è uno che si fa rifare un caffè. Per due volte. Perché, dice, sa di bruciato. La poverina che lo serve è imbarazzata, è evidente che non sa che pesci pigliare e che il suo margine di intervento nella cosa è minimo. Mi colpisce il rancore, pur gentilmente espresso, del cliente. E mi chiedo: di che cosa sta veramente parlando quest’uomo ? Certo, del caffè. Ma la scena è troppo potente perché sia tutto lì.
    Non ho mai mandato indietro un caffè in vita mia. Non per educazione, forse ho semplicemente avuto fortuna. Mai bruciati. Ma so qualcosa anch’io della paura, dell’insoddisfazione. Del rancore. Ne sappiamo qualcosa tutti, credo. Ecco di cosa parlava. Non raccontare mai una storia che non sai. Sul caffè bruciato ci si può eventualmente informare. Ma sul contenuto vero di quel caffè, contenuto che non viene mai nominato, mai detto a parole semplicemente perché il più delle volte non è nemmeno capito, devi sapere molto e solo la tua vita può avertelo raccontato.
    Dici caffè e intendi una delusione, dici bruciato e intendi un matrimonio sbagliato, dici rifare e intendi tutta una violenza subita da piccolo che non puoi non buttare fuori.
Allora sì, offrirò un caffè – spero migliore – al mio allievo che mi ha insegnato tanto con questa domanda. Non stai parlando mai di quello di cui stai parlando. Il tuo personaggio è sempre altro rispetto alle parole che dice. Puoi non conoscere l’argomento e capire benissimo tutto il valore che c’è in gioco. E quindi sì, non scrivere mai niente se non lo conosci dal di dentro. Se non è completamente autobiografico e al tempo stesso completamente altro da te.

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