“Esaminiamo prima di tutto noi stessi, poi le attività che intendiamo intraprendere, e infine le persone di cui ci occuperemo o con cui ci terremo in contatto. Prima di tutto, ripeto, è necessario valutare se stessi, dato che ci sembra, nella maggior parte dei casi, di avere più capacità di quante in realtà ne abbiamo: c’è chi sbaglia per eccessiva fiducia nella propria eloquenza, un altro per aver imposto al suo patrimonio oneri troppo gravosi, un altro ancora per aver costretto il suo fisico debole a troppi faticosi esercizi.
In alcuni casi la timidezza del temperamento nuoce alle relazioni sociali imposte dalle attività pubbliche, che richiedono invece un atteggiamento risoluto e deciso; in altri, l’insofferenza all’adulazione rende impossibile un lavoro nell’ambito della corte; molti non sono in grado di dominare l’ira e trascendono, per la minima offesa, a reazioni sconsiderate; c’è infine chi non è dotato del tatto necessario e per fare lo spiritoso si espone a un’incresciosa disapprovazione: per tutti questi soggetti è consigliabile una vita ritirata piuttosto che un’attività pubblica.
Un carattere focoso e indipendente deve evitare le sollecitazioni di una libertà che potrebbe riuscirgli dannosa. Insomma, devi considerare attentamente se il tuo carattere è più adatto a una fitta rete di relazioni sociali o a una dimensione contemplativa e di studio; è essenziale dedicarsi a ciò cui tende l’indole naturale: Isocrate costrinse Eforo ad abbandonare la carriera forense perché lo vedeva più adatto alla professione di storiografo. Le vocazioni contraddette non possono dare che frutti funesti: è tutta fatica sprecata quella che si compie nel fare qualcosa a cui la nostra indole è riluttante.
Bisogna inoltre valutare attentamente le attività a cui ci dedichiamo e misurare bene le nostre forze per verificarne l’adeguatezza: ci dev’essere di necessità più energia in chi agisce che nell’oggetto dell’azione: i pesi superiori alle capacità di chi li porta finiscono inevitabilmente per debilitare. Talvolta certe imprese non sono tanto preziose quanto impegnative, per il gran numero di dettagli che comportano; è bene evitare questo genere di attività, perché ne derivano fastidi sempre nuovi. Sono sconsigliabili anche tutte quelle occupazioni di cui è difficile o impossibile liberarsi; è opportuno occuparsi di attività che non abbiano in sé insidie di sorta, alle quali si possa fissare un termine o almeno prevederlo con un minimo di certezza, evitando quelle che richiedono più spazio del previsto o non terminano dove si era pensato.
Fondamentale è, in ogni caso, la scelta delle persone con cui avremo a che fare: consideriamo se siano meritevoli del tempo che dedichiamo loro, e se apprezzino adeguatamente il nostro impegno; può accadere infatti che alcuni ci rimproverino come una colpa il fatto di aver adempiuto ai nostri doveri. Atenodoro sostiene a questo proposito che non andrebbe nemmeno a pranzo da uno che per questo non si sentisse in certo qual modo suo debitore; e ancor meno da gente che pensa con un pranzo di sdebitarsi dei servigi degli amici, gente che considera ogni piatto un dono, come se l’essere intemperanti fosse solo un modo di onorare il prossimo. Se togli spettatori e testimoni a persone di questo genere e le fai pranzare da sole, il cibo non procurerà loro nessuna gioia.”
Seneca – La serenità
Leggo queste parole e non so se stupirmi di quanto mi ci senta vicino o di quanto mi ci senta lontano…
Cosa penserebbe di me una giuria di latinisti, professori e scrittori se sapesse che, nella mia testa, per un breve ma colpevole momento la raccapricciante favella di Alberoni si è sovrapposta e confusa con queste righe?
Non la scamperei.
A proposito del valutare se stessi, e del pensare di avere più capacità di quante se ne possiedano effettivamente: “Una delle note dolenti del nostro tempo è che coloro che provano certezza sono stupidi, e coloro che possiedono immaginazione e comprensione sono pieni di dubbi e indecisione.” (Bertrand Russel)