L’idea è spuntata da sola, senza un apparente motivo. Balzana e forse partorita nel caldo estivo. Andare a Torino a trovare la mia vecchia zia. La mia vecchia zia suora. Una vita per me sconosciuta, incomprensibile, a una distanza siderale dalla vita. Ma… ha 84 anni ed è stata parecchio male ultimamente. Perciò così, telefono e vedo se viene a mangiare una pizza con me. Naturalmente non è con la zia che bisogna parlare, ma con la superiora. Una sorta di angelo custode – non si sa quanto angelo ma certamente custode – delle sorelle. La cosa si organizza non senza difficoltà, ma alla fine si organizza.

Quando arrivo a Torino ho la sorpresa di vedere una città molto più bella di quanto ricordassi. E’ una giornata azzurra e Torino è piena di verde. L’acqua del fiume non ha niente di paragonabile allo scarico del Naviglio. Non sarà sta meraviglia ma non affiorano frigoriferi e motorini. E poi c’è più spazio. Non l’avevo mai notato ma ci sono punti larghissimi, di grande respiro, nei quali la luce affonda per decine di metri e dà profondità. So che si dice “piemontese falso e cortese” ma a dire il vero sono molto ignorante in materia di piemontesi perché ne conosco pochi e i più cari vivono proprio a Torino.

La pizzeria è una sorta di brasserie. Stiamo fuori, protetti dalla veranda. Non c’è il problema di trovare di cosa parlare: parla lei, suor Maria. E mi racconta di tutto. Il Convento è un luogo di spirito in cui le umane istanze trovano albergo per i propri conflitti. Il suo racconto è un frenetico ping pong tra quel che proprio non le è andato giù e l’impossibilità tutta cattolica di riconoscerlo. Tra il risentimento di certe situazioni subite e l’esigenza di averle sempre tutte perdonate. Un conflitto a fuoco in cui è proibito il fuoco. Azzardo piano un però zia, se ci sentiamo arrabbiati con qualcosa o con qualcuno lo possiamo anche dire, no? Ingenuo tentativo. Ma non c’è nessuna rabbia – voce soffiata da suora – l’importante è che vada avanti il Regno. Ma tu, zia, ti sei mai aperta al rischio di ascoltare quello che sentivi? – penso e non dico.

Sì, la storia della zia raccontata dalla zia è una strada di torti subiti, di Madri Superiore non così superiori. Avrei una domanda sincera ma sento che non c’è terreno per porla: come si fa a votare una vita intera all’uniformarsi ad una regola senza dedicare tempo a conoscersi, ad ascoltarsi per quello che semplicemente si è? Una vita declinata con il verbo dovere, così lontana dai miei orizzonti – penso senza orgoglio, anzi – dove può portare?

Poi il discorso si muove, abbandona le secche delle storie e si fa più alto. Tecnicamente e senza saperlo la zia passa dallo sguardo del cow boy – immerso nella propria realtà in mezzo a un vasto deserto – a quello dell’astronauta, che vede il complesso con un colpo d’occhio.

La zia si fa più distesa, il volto più chiaro, gli occhi più intensi e persino più vivi. Io ho finito. Sono convinta che la mia vita abbia avuto un significato e sono contenta di come l’ho vissuta. Adesso sono arrivata alla fine e faccio mia l’invocazione dell’Avvento: vieni, Signore Gesù. Spero proprio che venga presto, non vedo l’ora. Penso alle risate automatiche che un’uscita del genere porterebbe in quasi tutti gli ambienti che frequento. Persino una parte di me scuote la testa ridendo. Ma l’altra no, perché gli occhi vedono una donna vecchia, malata, all’improvviso diventare raggiante. Non c’è più il ping pong di prima, non c’è una parte che nega la rabbia e l’altra che lotta per farla venire fuori. Siamo a un piano superiore, verso l’astronauta. Vediamo il complesso. Il ritmo rallenta, le parole pesano di più e paradossalmente sono parole che volano.

Non ho altro da fare, sono contenta così. Può una suora malata di 84 anni diventare bellissima? Può. Succede in un lampo ma succede. Penso anche: hai passato una vita da sfigata e alla fine si vede tutto quello per cui avevi lavorato. Tutto fiorisce e matura in questo rarefatto finale. Ma siccome i frutti non spuntano all’improvviso, forse c’erano già prima. Forse non ho capito niente io di quel che accadeva in tutti questi anni all’interno di un ordine di suore. Per un momento realizzo che è molto più facile essere seduti nella stessa pizzeria che essere seduti nello stesso mondo.

Due ore al massimo, poi la zia va riportata. La Superiora mi ha scrutato sulla soglia, gentile ma guardinga: somiglia a suo padre, sa? Povero padre – penso, ma neanche stavolta dico. L’Ordine ci richiama all’ordine. E quindi la accompagno fin sulla soglia. Si volta ancora indietro e mi stringe un braccio. Le brillano gli occhi come ad una bambina prima di aprire i pacchetti di Natale. Staremo insieme per sempre. Tu lo sai cosa vuol dire? Io no. Non lo sa, nemmeno lei. Tutta una vita per arrivare ad essere felici di non sapere. Per credere. Mille voci dentro di me si levano sarcastiche: sai che bellezza sapere di vedere per sempre quello lì, quello là, quell’altro ancora… bel posticino da incubo, questo famoso Paradiso. Ma gli occhi vedono tutta questa bellezza che si gira con un’energia da primavera, due passi e scompare dietro la porta dell’Ordine. Torno indietro, da solo. Nemmeno io lo so, zia. Né questo né il resto – penso. Ma mi scorre addosso una sensazione, pensando a quel che mi ha detto e alla luce che aveva sul viso: questo è quel che significa una vita di successo.

0 risposte

  1. Troviamo una strada, una storia, e la facciamo nostra.
    Fortunato è chi la trova una via.
    Non può essere sbagliata perchè la gioia che ne scaturisce è più reale delle nostre quotidiane certezze.
    Bel post che fa commuovere e pensare.

  2. La scrittura è un esercizio automatico e riguarda il preparare il terreno per la pioggia che verrà. Qui è piovuto copioso. Ed Efesto ha lavorato bene.
    Quando si avverte oltre a soglia di non ritorno, le dita fanno esercizi di sci acquatico dietro lo scafo del nostro cuore.
    Gio, sono certo che non vi avrei riconosciuto vedendovi, ma riconosco te come recettore e generatore di emozioni ed idee. Mi trovo a ringraziarti ancora, perchè dilati il mio Interiore e gli fornisci un ulteriore codice di lettura. Le emozioni sono come il Mare: ritorna sempre dove è stato.

  3. Mi piace l’idea che tu vada a trovare qualcuno che non fa parte del tuo mondo, ne sei stato ripagato con la sua voglia di raccontarti.I vecchi che incroci di solito fanno finta di non esserlo e non parlano mai di ciò che pensano potrebbe accadere o sarà, nessuno più ne parla, tutti pateticamenti attaccati a questa terra in solitudine, piuttosto una di quelle belle malattie che ti fanno perdere il senno …. questo è stato un congedo … generoso! Evelina

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