Caro Cesare, due sere fa cenavo con la mia famiglia davanti al mare. Un angolo selvaggio di Sardegna, un paesaggio duro disegnato dal tempo e dal vento. Natura cultura e spirito, molto silenzio, nessun locale. Saltano fuori a circa trecento metri da costa. Li vedo e tutti ci mettiamo a scrutarli, senza sapere di cosa si tratti. Un pesce decisamente grosso salta fuori dall’acqua, un altro emerge e basta. Poi ci informiamo: si tratta di delfini. Possono accompagnare un canoista anche per centinaia di metri giocando.

Non riesco a pensare a niente di triste se penso al fatto che sei partito. Penso a quello che hai amato. Per buona parte mi ci trovo proprio in questo momento. Penso al mare, al vento, alla vela, alle onde. Penso al perpetuo inseguimento frustrato di Silvestro contro Titti, di cui avevi tappezzata la stanza. Gabbie e libertà, desiderio di volare e paura di essere predati. Una gabbia invisibile che ti ha tenuto nel letto ma non ti ha impedito le parole, il coraggio e il sorriso.

Soprattutto non ti ha impedito – adesso – di volare. Finalmente la velocità che amavi. Finalmente il vento. Nella mia vita – anche ultimamente – ho avuto troppe esperienze di confine per dubitare della vita che continua.

Ecco, mi rimangono i due delfini che saltano lontani, se penso a te. E cioè il silenzio senza giudizio della natura. Tu e Welby avete rappresentato due posizioni contrapposte sulle quali l’opinione pubblica si è accapigliata, sprecata, confusa. Ogni fazione con i suoi pareri pregressi: l’imbarazzante fragilità che si celava dietro gli imperativi assoluti dei cattolici e la patetica sicumera dei progressisti. Due lati estroflessi delle nostre paure che si trincerano nelle certezze. Tutti sapevano cosa si sarebbe dovuto fare, nessuno aveva provato ad essere dall’altra parte. Ma quando sono stato l’ultima volta a trovarti – troppo, troppo tempo fa, ti chiedo scusa – tu hai fatto un sorriso ricordando Welby: ognuno ha la sua posizione. Niente diatriba, niente scontro ideologico, niente teatro. Il silenzio senza giudizio della natura. I due delfini che saltano.

Se penso a te – in qualunque vita tu sia ora – penso a tutto meno che al riposo. Non l’ho mai capita questa storia del riposo e del resto se uno ti ha minimamente conosciuto si guarda bene – adesso – dall’augurartelo. Riposo da che? Immagino il riposo da una vita con la SLA solo in forma di leggerezza, di movimento, di velocità. E ti vedo sperimentare ridente tutta la bellezza della nuova situazione.

Un pensiero all’altro delfino, quello che nuota ancora con noi e che continuerà a farlo. Grazie a Stefania per aver aperto le porte al nostro incontro, per aver preparato il nostro film, per averlo veicolato, per tutto l’amore ostinato che non ha mai sentito ragioni. Grazie per aver preso su di sé una posizione e portato avanti una scelta indipendentemente dal parere degli altri, indipendentemente dall’idea di un successo finale.

Davvero la vita è quel che ce ne facciamo, se insieme avete danzato questo amore che anni fa avevo definito inguaribile e oggi definisco raggiante.

Per chi vuole rivederti e salutarti ancora, qui.

Ciao Cesare. Grazie.

 

0 risposte

  1. Caro Giovanni, grazie del post. Forse tu non te lo ricordi ma io sì e bene, il giorno che mi hai fatto vedere per la prima volta Un’inguaribile amore, nel tuo studio, fresco di montaggio. Quel pugno allo stomaco mi disse tante cose, allora, che mi servivano. Oggi me ne dice altre, delle quali avevo altrettanto bisogno. Grazie davvero, a te e Cesare che ho conosciuto grazie a te.

  2. Giovanni, ogni parola che posso pensare mi sembra offensiva verso la vita. Ogni rammarico, compatimento, o tentativo di riportare la vita di Cesare come insegnamento nella mia, ha un insopportabile sapore di falsità. Anche queste righe accumulano danno. Che trovi compensazione Cesare a tutto quello che ha passato, che trovi una spiegazione e possa far pace con quella gioia che raccontavi per tua zia. Che abbia vita, Cesare! Io ne sarò felice.

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