La foto qui sopra è scattata da Damiano Cerrone. Un giorno vagavo per la rete in cerca di un’immagine e ho trovato un sito che mi ha colpito moltissimo, di cui vorrei parlare nei prossimi giorni. E’ proprio il sito di Damiano. Non sapevo nemmeno chi fosse. C’erano molte foto e ho passato più di un’ora a guardarle. Perché mi hanno tirato dentro come fossero porte su storie sconosciute. L’ho contattato e ci siamo incontrati a Roma. E’ intelligente, inquieto. Giovanissimo. Gli ho chiesto se quando mi sembrano idonee posso usare le sue foto per questo blog. E sono felice di poter mostrare questo scatto. Perché rappresenta alla perfezione il mumble mumble di questi giorni.
Sto pensando che ci sono molti modi di definire una storia. Se fossero vere definizioni non sarebbero così tanti. In realtà forse sono soltanto approssimazioni. Sempre di più mi convinco che “storia” esprima un senso di compiutezza. Non necessariamente di plot, ma su un qualche livello senz’altro.
Eppure l’incompiutezza fa parte dell’esperienza di tutti noi. La morte di una persona giovane, un abbandono precoce e mille altre possibili interruzioni di percorso. E’ una domanda che di tanto in tanto emerge tra gli allievi più acuti: se il concetto di “storia” rimanda sempre a una compiutezza, come si raccontano le vicende che invece la vita trancia nel mezzo ?
Che facciamo: lavoriamo tanto sui 3 atti e poi scopriamo che si poteva fare altrimenti, e che comunque i 3 atti non posso risolvere in modo definitivo la questione ? Proprio così, mi viene da dire. Chiunque brandisse una struttura come un’arma combatterebbe una guerra falsa e perdente. La struttura imita la vita, la insegue, cerca in tutti i modi di aderirvi. Ma la struttura non è la vita.
Una storia tranciata è una storia nella quale il protagonista finisce troppo presto fuori campo, come nella foto di Damiano. Ma se sospendiamo il giudizio di storia tranciata o di foto sbagliata, possiamo accedere ad un nuovo livello di domande: rispetto a quale aspettativa questa storia è incompiuta ? E ancora: siamo certi che non esistano premesse diverse, prospettive nuove che potrebbero dare a questa fine improvvisa un senso compiuto ?
Guardiamo la foto di Damiano. L’anomalia ci aiuta ad osservare il nostro sguardo: noi ci aspettiamo comunque che la foto di una ragazza inquadri “per bene” la ragazza. Damiano invece ci aiuta a vedere che la ragazza ha intorno tutto un tempo, tutto uno spazio, nei quali attraversa la sua vita. Ci aiuta ad ampliare le aspettative del nostro sguardo, ci parla di noi. E se la compiutezza di una storia tranciata fosse costituita anche dalla nostra presa di coscienza di noi stessi, del nostro modo di (non) guardare, e ci spingesse più in là… ?
Poi credo che la questione rifletta abbastanza la vita. Quando muore un giovane non c’è senso, non c’è possibilità di vedere una compiutezza. Anzi, l’unica cosa compiuta è l’ingiustizia. Se però, come nella foto di Damiano, la vita di ognuno di noi prendesse senso non da se stessa ma nella sua relazione con il resto e con gli altri, allora forse… mumble… mumble…