Quando un amico muore, ruota il mondo.
Anche se nei tuoi pensieri già da qualche anno ti stai preparando ad andare, non sei mai pronto al fatto che un altro se ne vada. Uno che non aveva l’età per farlo – perché nel tuo mondo immaginario che dai per reale e concreto, c’è un’età “giusta” per morire – uno che non avvisa e che soprattutto non ti chiede il permesso.
Quando un amico se ne va, perdi questo tipo di idea della vita e di te. Vieni risvegliato a cazzotti dall’illusione di decidere le cose che succedono e ti rendi conto che sei fra le cose che succedono. Passi dall’idea di sostenere la tua opinione a chiederti se hai veramente capito, dall’idea di poter agire come credi alla domanda sul perché credi che bisogna agire in quel modo, dalla determinazione nel dire quello che pensi allo sgomento del pensare a quello che dici.
In poche parole passi dalla tua vita alla vita che è per te ma che non è tua. Non lo è mai stata, nemmeno nell’eternità dei vent’anni. Un’avventura complessa nella quale gli incontri, gli affetti e gli amori ti sono dati già incisi in un tempo chiuso. Lo sai ma giochi a ignorarlo. E quando il tempo si chiude capisci che proprio la morte mette il sigillo dell’unicità su un’amicizia.
Quando muore un amico impari a raccattare anche le briciole delle cose che vi siete detti, il suono della sua risata, l’ironia silenziosa dei suoi sguardi. E incassi il duro colpo di un discorso interrotto a metà. Siamo cercatori di significati e vogliamo chiudere il cerchio. Tirare la riga, dirci ciao e fare sintesi di ogni amore. A volte non va così.
Non decidi tu. Non scegli tu che dolore incontrare, quando incontrarlo, per quanto tempo sentirlo. Non scegli tu nemmeno di chi innamorarti, che se si riuscisse a non farlo mai sai quanti dolori di meno.
Scrostato dell’illusione di una vita che possiedi, che decidi e che non finirà mai, sbarchi sulla soglia della realtà e ne vedi barlumi di lacerante bellezza. La totale gratuità delle cose fondamentali, il costo altissimo di quelle meno importanti. Il configurarsi dei significati secondo logiche per te inarrivabili, per cui è perfettamente compiuto un percorso che tu vedi solo troncato. La necessità buona con la quale ogni cosa avviene del tutto indipendentemente dal fatto che ti faccia piacere o no.
Alla fine, la morte di un amico è il momento in cui cominci a ricordarlo e forse il dolore ha questa funzione: aiutarci a portare nel cuore. Quando le persone non sono più davanti a noi, il loro posto è dentro di noi. Le portiamo in giro, gli parliamo senza più bisogno di mentire, di smussare, di dissimulare.
Una morte ci rimette al mondo come lo schiaffo buono di chi ci rianima se abbiamo perso i sensi. Dunque, Carletto. Non me lo aspettavo. E leggendo le tue ultime parole consapevoli della fine prossima, ci rivedo tutta la serenità e gli orizzonti che hai sempre dischiuso a chi ti stava vicino. A me adolescente citasti Gide, che ancora non conoscevo:
“Que ce soit l’important ne soit pas ce que tu regardes, mais ton égard”
Era l’inizio di un viaggio che oggi mi richiama ancora. Non è importante che io veda la tua morte, ma lo sguardo risvegliato e grato che anche tu mi hai insegnato.
Buon viaggio amico mio.
Al tempo, vienimi a prendere.