sagome-anticollisione

L’esperienza di noi stessi a un certo punto si compie.

C’è un momento in cui diventa chiaro che questo io che ci portiamo dietro da più o meno tempo è troppo ristretto perché possiamo continuare a capire. Si può imparare fino all’ultimo istante ma lo si può fare sempre nel recinto dell’io nel quale viviamo. Non si può assumere il punto di vista di un altro. Tutt’al più lo si può presumere.

Lavorare con le storie, con la scrittura e con la direzione degli attori avrebbe dovuto allenarmi ad immergermi nello sguardo altrui. A me non è bastato. A volte mi trovo ancora a supporre che quel che vedo sia davvero come lo vedo io. Cose comiche, insomma. Siamo rondini che si schiantano sulle vetrate perché credono a quello che vedono e ignorano l’invisibile.

Le diversità dei nostri sguardi sono muri che rimangono invalicabili a meno di sforzi dialettici continui, ma che comunque servono a mantenere rapporti civili, non certo a capire da dentro la visione e l’esperienza dell’altro. Se è vero che solo tu puoi capire cosa significhi essere te, l’unica via per comprenderti è diventare te. E questo limite è invalicabile.

Rivaluto la terza falena. Quella che per conoscere la fiamma più da vicino delle altre due ci si brucia dentro e non torna più a casa. Diventa fuoco. Conosce il fuoco. Ecco. Conoscere è diventare, non venire semplicemente a sapere. E certo che quando diventi qualcosa non sei più quel che eri prima. La falena diventa fiamma.

Diventare non è semplice, richiede molto coraggio.

Per diventare devo accettare di perdermi. Di non identificarmi in quest’io che porto in giro da più di 50 anni. In effetti, già nel momento in cui faccio questo ragionamento non coincido più con questo me. Non intendo quello da cui vari maestri hanno cercato di liberarci più o meno onestamente, non intendo cioè l’ego e i suoi mille egoismi. Intendo la mia profonda identità. Le mie risorse più vere. I miei talenti, se vogliamo chiamarli così. Lasciare il mio sguardo significa lasciare la mia cultura, le mie risorse, la mia storia. Che mi hanno fatto da culla ma che mi hanno anche tenuto all’interno di un’esperienza di separazione. Il mio modo è anche il mio mondo. E siccome questo vale per tutti, i mondi sono tanti quanti sono i modi.

Alla fine, tocchiamo il punto di non ritorno oltre il quale nessuna relazione sembra più possibile. Da un certo punto di vista la cosa è anche liberante. Se accetto di non poter sentire il tuo sentire, accetto di non possederti, di non poterti giudicare, di non poterti “sapere” a memoria. Accetto di non poter essere nemmeno sicuro che tu ci sia e accetto che in ogni caso tu non sia come io ti vedo.

Per recuperare una relazione con te devo scendere ancora più giù, in un piano basico e primordiale che viene prima di quello che penso, che credo, che mi piace o che non mi piace. Prima di tutto quello che sento nella vita, c’è la vita che sento. Posso stare con quella, all’interno della quale ci sei tu, di cui non so niente. Non so cosa pensi nemmeno quando me lo spieghi perché posso capire un concetto ma non comprendere una visione, la sua visceralità, la sua necessità, il suo dolore.

Posso sentire il tuo sentire, anche senza arrivare a diventarlo. Sapendo di non saperti. Posso sentire come ti fa sentire quello che faccio o dico. E giocando di sponda, nel mistero abbagliante delle differenze, muovermi per mandarti segnali d’amore. Per tentativi ed errori. Come fa la natura, come si regola l’evoluzione. Tentativi ed errori.

Anche nel più grande degli amori, tu rimani l’inarrivabile diversità, la prospettiva che non vedrò mai, il sentire che non coglierò. Amarti è volerti raggiungere dove ti trovi senza paura di perdermi e di non tornare più indietro, perché nel raggiungere qualcuno non c’è perdita di quel che sono, ma crescita di quel che sono in quel che saremo. Tu sei la mia insufficienza, il mio bisogno di altro da me.

Anche andare va bene, quando è il tempo. Quando il giro dell’io è compiuto e cominciamo a non farcene più granché del nostro sguardo. Quando sentiamo di essere stanchi dei nostri occhi delle nostre parole e delle nostre idee. Delle risposte che diamo perché noi diamo quelle risposte, anche se non è più vero che pensiamo così, che sentiamo così. Quando succede questo, significa che stiamo andando via, fuori dai nostri confini, dove trovare qualcosa di più vicino a noi stessi.

 

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