La prima cosa che provo quando sto per vedere un musical è curiosità. Perché la storia di questo genere è quanto di più bizzarro si possa immaginare. Ha attraversato arcate di anni sull’onda di un successo che sembrava interminabile, salvo precipitare nell’oblìo in decenni successivi, tanto che si sarebbe potuto dirlo morto. Per capirci: come parlare oggi di western. Dopo decenni di gloria, oggi è commestibile solo previa introduzione di tematiche estranee alla sua tradizione, vedi Brokeback Mountain (2005, Ang Lee).
Istintivamente – e credo erroneamente – lo accosto alla lirica. Ma ferme restando le grandezze passate, le due forme musicali vivono uno stato di produzione attuale alquanto diverso. Qualche anno fa ho assistito ad un’opera di Sciarrino, a Milano. Ricordo i volti della gente: attonita, sperduta, smarrita. Qualcuno si sentiva preso in giro (“Io lo sciacquone quando si rompe lo aggiusto, non lo campiono per metterlo in un’opera lirica”). Qui invece il contatto con il pubblico sembra non essere stato perso. Sento già gli strali: dipende da che tipo di pubblico cerchi. D’accordo, ma val la pena di chiedersi che tipo di pubblico sia ancora disposto a seguirti…
Il pubblico in questo film resta incollato con gli occhi e le orecchie perché funziona tutto: musica, attori, ballo, montaggio. Anche la storia, sì. Abbastanza. Per quanto costituisca spesso il punto debole di questo genere. Probabilmente è un fatto tecnico: la musica e la metrica forse costringono a semplificare storie e psicologie, anche se a voler ben vedere l’aria di Cherubino ne Le Nozze di Figaro di Mozart è uno scandaglio dell’adolescenza semplicemente geniale. Qui, e non solo in questo musical, i personaggi sono buoni o cattivi, i cambiamenti sono da bianco a nero, e di conseguenza i percorsi psicologici e le arcate di tensione estremamente prevedibili.
Tuttavia, Hairspray funziona. E’ evidente dalle reazioni della sala. perché quando la qualità realizzativa è così alta si soprassiede più facilmente riguardo alla natura di ciò che è stato realizzato. La prima canzone, l’uscita di casa della protagonista all’inizio del giorno, è un prodigio tecnico, estetico, musicale, vocale. Un’apertura che mette soggezione. E poi gli attori sono tutti convincenti davvero fino in fondo e senza riserve. John Travolta, Michelle Pfeiffer, Christopher Walken, Nikki Blonsky.
Eppure secondo me Hairspray è un film sopravvalutato. Perché rimane lì, e dove la sonda dovrebbe entrare in profondità nel cuore di un’adolescente obesa, restano degli stereotipi. Dove una coppia come quella dei suoi genitori dovrebbe essere scandagliata nelle mille problematiche cui si accenna resta un presepe senza grandi giustificazioni. Le spese di questa semplificazione le fa il percorso di ogni personaggio. Alla fine del film i buoni sono buoni, i cattivi sono diventati buoni, e i cattivi che sono rimasti tali sono perdenti. Di questo non si ha alcun dubbio dall’inizio alla fine del film.
Forse è a causa di questa riduzione di ogni personaggio alla mera funzione sociale che rappresenta, che alla fine nonostante si tratti di un film che parla dell’integrazione neri / bianchi negli anni ’60, si sente un retrogusto reazionario. Forse, mi dico, anche il musical potrebbe riflettere su Brokeback Mountain. Sulla possibilità di crescere, di usare la musica come uno scandaglio e non solo per la bellezza di superficie. Di far evolvere il genere verso nuove frontiere. E chissà perché più penso a questo e più mi viene da voltarmi indietro, prima del musical. A Cherubino.
secondo me hairspray è davver una storia fantastica ma anche high scholl musical dove partecipa in tutti e due i film zac efron che per me è il ragazzo più carino di tutti