E’ iniziata il 10 settembre su Rai2 ed ho avuto l’occasione di vederla già per intero questa nuova serie statunitense prodotta dalla Fox Television Studios, strutturata in 13 puntate e ideata da Christopher McQuarrie. Credo che globalmente possa avere degli spunti e quindi mi piace parlarne ora, in tempo per chi ne fosse incuriosito. In realtà dico subito che non la trovo una serie straordinaria. Ma trovo alcuni elementi che non sono banali e che si mescolano con abilità al divertimento e al puro entertainment. La situazione di base vede alcune persone svegliarsi in un hotel misterioso, in una cittadina deserta. Nessuno sembra sapere di che posto si tratti. Ognuno di loro ha una vita dalla quale è stato rapito. Non si conoscono fra di loro.

McQuarrie è lo sceneggiatore de I Soliti Sospetti. E si sente. Nel senso che ama giocare a carte completamente coperte senza lasciare al pubblico alcuna possibilità di intuire o ipotizzare il meccanismo che regge l’insieme. Per cui è vero, mentre lo guardavo pensavo, puntata dopo puntata, che fosse divertente ma troppo facile. La stessa cosa che ho pensato ai tempi quando vidi I Soliti Sospetti. Troppo facile così. Nessuno ha elementi per capire e quindi la sorpresa vale meno. Insomma: posso raccontarti la storia più assurda di questo mondo e poi di colpo alla fine dirti che era tutto un sogno o uno scherzo o inventato. Che dovremmo fare: cadere dalla sedia e urlare all’idea geniale? Eppure I Soliti Sospetti funzionò, anzi trionfò. E a me anche a distanza di anni continua a sembrare un film terribilmente modesto.

In Persons Unknown, però, il nostro non sapere non è sullo stesso piano. E’ empatico. Noi non sappiamo dove si trovino i personaggi perché questo è il loro punto di vista, perché McQuarrie vuole farci fare il viaggio da dentro, fino in fondo. Quindi ti senti a tutti gli effetti in un posto calustrofobico e cerchi di capire cosa ne sarà di te. D’altra parte il gioco si allarga concettualmente e drammaturgicamente e man mano sentiamo che anche il mondo esterno, quello degli uomini liberi, è controllato manipolato e gestito. Avviene così una specie di ribaltamento interessante: i nostri personaggi sequestrati sono solo più consapevoli di essere manipolati. Insomma: lo siamo tutti ma alcuni lo sanno meglio. Quelli che lo sanno meglio sono più consapevoli della prigione intellettuale e spirituale nella quale ci troviamo. E vivono peggio. E capiscono che le relazioni mancano, che le città sono vuote, che non siamo liberi di scegliere quasi niente di quello che pensiamo di scegliere. Lo sanno, quindi lo vedono. Quindi ci si trovano. Quindi  lo vivono. Ma è solo una differenza di consapevolezza. Al cinema lo sguardo crea il mondo, per cui ecco il mondo visto dai più consapevoli.

E poi ci siamo noi che guardiamo. Questa seria chiede di essere completata da chi la guarda. Perché noi attendiamo la prossima puntata. Perché vogliamo vedere attraverso questo Grande Fratello iperbolico, cosa faranno i nostri eroi. Che sono cavie, topini, trastulli della nostra serata. Diventiamo lo sguardo freddo della camera, diventiamo quelli che ci stanno dietro. Attendiamo la puntata e siamo curiosi. Curiosi. Non empatici. Solo curiosi. Non preoccupati, non in relazione. I personaggi di Persons Unknown diventano il nostro momento di relax.

Mi colpisce quello che questa serie mi dice di me. Se lascio da parte le perplessità legate alle svolte psicologiche a volte ardite a volte pittoresche a volte facili a volte soltanto furbette, se lascio perdere una recitazione diseguale e alcune impostazioni di sistema un po’ precarie… io sono lì come quelli che spiano, che ordiscono il disegno. Quando li vedo mi sembrano antipatici ma… faccio la stessa cosa. Penso divertito a McQuarrie che mi guarda mentre guardo i suoi personaggi mentre guardano i loro sequestrati. E mi dico che anche se non mi ha convinto del tutto è una serie che forse vale la pena di seguire.

 

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