Covid, Gender, Suicidio Assistito. Dove andrà il cinema di domani?

Nella costellazione dei valori di ognuno di noi, in misure diverse e mai prevedibili avvengono dei cambiamenti. Non tutti questi cambiamenti sono trasformativi nel vero senso della parola. Possiamo distinguerli in due livelli fondamentali: quelli di traslazione e quelli di trasformazione.

I cambiamenti di traslazione sono quelli che modificano un panorama in modo anche importante, ma che lo lasciano intatto alla propria identità e alla propria riconoscibilità. Prendiamo ad esempio il nubifragio che ha colpito Milano pochi giorni fa: cadono alberi, vengono divelte panchine, schiacciate auto, fatti volare cartelli stradali, vasi, oggetti di ogni genere. Per ripristinare l’ambiente possono volerci giorni, settimane o anche mesi di lavoro. Ma Milano è Milano. Nessuno, dopo l’evento, non sarebbe stato in grado di riconoscerla.

Altri cambiamenti sono invece di trasformazione. Se per esempio da sotto Milano eruttasse un vulcano, la città verrebbe polverizzata, questo punto della Pianura Padana diventerebbe montagna e magari raggiungerebbe altezze di 2000 metri. Con il tempo cambierebbero la vegetazione, la fauna di conseguenza, il clima, eccetera. Chi passasse di lì non potrebbe più riconoscere la città di prima, perché non ci sarebbe più nessuna città.

Il panorama attuale

I cambiamenti sociali e culturali di questi anni sono stati sul limite di queste due nature. Il Covid ha ridefinito il modo di soffrire e di essere o non essere comunità. Il Gender sta ridefinendo l’identità sessuale biologica, psicologica e di preferenza da base solida e permanente di una vita a semplice tappa di un cammino che può fermarsi lì oppure evolvere, cambiare, sorprendere. Questo cambiamento ha ridisegnato il nostro modo di riconoscerci e di amarci. Il Suicidio Assistito, infine, sta ridefinendo il nostro rapporto con la morte. Non si tratta solo del fatto che diventiamo protagonisti del nostro morire – se ci è possibile – ma che cambia radicalmente il nostro senso della vita. Anche questo cambiamento sottrae forza ai confini socialmente condivisi e ne aggiunge a quelli che ognuno di noi dà a se stesso. Sottrae forza alla fissità di questi confini e ne dà alla fluidità, appunto. Al cambiamento continuo.

Raccontare storie adesso

In tutto questo, il cinema continua e continuerà a raccontare storie. Le storie di oggi che però è un oggi cambiato, o direi meglio cambiante. Se ieri si diceva Diventa chi sei, oggi possiamo dire Sei quello che continui a diventare. In una logica narrativa standard – cioè nei tre atti Hollywoodiani – si apre una prospettiva difficile e interessante. Perché la struttura classica delle storie è restaurativa. L’equilibrio apparente del primo atto viene rotto nel secondo e ricomposto su basi più profonde nel terzo. La circolarità è anche chiusura, sintesi, idea di compiutezza e in qualche modo definitività. In un mondo che condivide molto di meno e per molto meno tempo i valori costitutivi dell’esistenza, chiudere un terzo atto “facendo tutti contenti”; cioè dando a tutti la sensazione di un conto che torni – che il finale sia tragico o lieto – potrebbe non essere così facile.

Scegliere strutture alternative a quella in tre atti è cosa già fatta da moltissimo tempo e in tante occasioni, ma questo non toglie che la strada tracciata da Aristotele rappresenti una base quasi inconscia che difficilmente verrà abbandonata anche solo per i vantaggi commerciali che ormai offre in termini di leggibilità e di diffusione.

Va anche detto che una struttura diversa non garantirebbe in quanto tale una miglior risolvibilità del problema, perché le strutture non sono la vita e nemmeno le storie sono la vita. Le strutture sono fatte di eventi, gli eventi sono azioni e le azioni rimandano ai personaggi e ai loro desideri. Ecco perché, alla fine, ci si trova sempre ad avere a che fare con l’essere umano ben prima e al di là delle questioni tecniche.

Ma un bambino…

Al momento, come si dice, un bambino sempre nove mesi impiega per nascere. Cioè la Natura e l’identità profonda di ognuno di noi non sono spostabili, transabili, barattabili con nessuna evoluzione – per quanto buona – delle nuove sensibilità. In altre parole. Possiamo pensare che i vaccini ci abbiano salvati o condannati a morte, ma l’essenza della lezione è che siamo una comunità che lo si voglia o no. Che nessun confine può arginare ciò che succede in un Paese, perché siamo connessi e respiriamo la stessa aria. Possiamo decidere di sentirci, orientarci e viverci con sessualità cangianti, ma sempre di amore si tratta. Cioè – ancora – di una interconnessione dalla quale non possiamo uscire. E infine il Suicidio Assistito. Che ridefinisce il nostro rapporto con la morte ma che non esce credo da quella fascia di cambiamento per traslazione cui appartengono anche gli altri due temi. Profonde modifiche di un paesaggio che rimane comunque se stesso. Perché sempre si tratta di prendere coscienza della nostra fine e questa trattativa pur importante che facciamo sul decidere noi di noi stessi, sta ben all’interno del fatto che comunque moriremo.

E il Cinema?

Lavoro tutti i giorni con quelli che costituiscono il futuro del cinema. Autori, registi, attori di domani. Vedo brillare nei loro occhi tutta la passione per l’abbattimento di steccati, pregiudizi, muri. Non si tratta di battaglie giovanili, c’è davvero un dolore profondo, un malessere che talvolta sfocia in conseguenze gravissime. Stanno davvero combattendo una battaglia.

Questa battaglia avrà certamente dei riverberi nel cinema di domani. E saranno buoni perché vengono da cuori feriti e da talenti affilati. Ma avverranno con più continuità con il passato rispetto a quanto la maggioranza di loro creda. In altre parole e per chiudere il ragionamento, i cambiamenti per i quali combattono sono molto più di traslazione che di trasformazione. E la vera partita che attende i nuovi narratori sarà a mio avviso diversa da quella che molti si aspettano e già si è annunciata nel panorama cinematografico. Mi spiego.

Il nuovo setup fluido

Se prendiamo i cambiamenti cui abbiamo sommariamente accennato e li consideriamo nella loro essenza, possiamo vedere una consistente voglia di determinare noi stessi nella nostra specifica natura, nelle nostre relazioni e di fronte alla morte. Non solo, vediamo anche la voglia di poterci ri-determinare ogni volta che ne sentissimo l’esigenza. È vero che il tessuto sociale rischia qualcosa in termini di valori condivisi e di progettualità relazionale, ma la persona umana ne guadagna in dignità e rispetto. E si acuisce la capacità degli uomini di leggere se stessi e il proprio sentire.

Qui forse c’è la lezione della fluidità: non pensare se stessi una sola volta all’inizio della vita, ma farlo in ogni momento e per tutta la sua durata. Tuttavia, credo che la vera partita stia nel livello di profondità in cui si verifica questa ricerca interiore. Perché i cambiamenti su chi senti di amare e quando decidi di morire, a dispetto della loro importanza, rimangono cambiamenti di traslazione. Il cambiamento per trasformazione riguarda la natura profonda del tuo amore e della tua relazione con la morte. Ama chi vuoi, ma chiediti se moriresti per lui o per lei. Decidi pure dove e quando morire, ma vivi davvero sapendo che morirai.

Fragilità

A una fluidità di identità e appartenenza si sta accompagnando – per quanto io veda stando tra i giovani artisti – una simmetrica fragilità progettuale. Le relazioni si fanno e si disfano con una facilità a mio avviso superiore rispetto a un po’ di anni fa. Basta pochissimo per farle cominciare, basta pochissimo per farle finire. Si moltiplicano in numero e si decimano in durata. Questo – penso – perché proprio l’ascolto millimetrico di sé finisce con l’indebolire lo sguardo che ognuno di noi deve tenere vigile sulla propria relazione con l’altro. Quando mi prendo cura di me non posso pensare a te e – se mi prendo cura di me in ogni momento – diventa difficile affrontare le fasi di salita, di durezza, di scontro che ogni relazione umana comporta e che a questo punto ci sembra sottragga tempo e forze alla cura di noi stessi. Nel cambiamento di questo tempo ognuno di noi viviseziona il proprio sentire, ma siamo in bilico tra la capacità di osservare il dettaglio e la fragilità di perderci nel frammento.

La rigidità del fluid

Allora c’è una lezione di fluidità che questa nuova generazione potrebbe prendere da quelle più antiche: come i vecchi stanno imparando a percepirsi ogni giorno come esseri nuovi, a non darsi per definitivi così come sono, così i giovani potrebbero cominciare a sentire una fase di difficoltà relazionale come una fase di passaggio e non per forza come la fase finale di una strada. Dopo l’innamoramento c’è per forza la fine? E qui per me sta la domanda grossa: possiamo amare oltre il desiderio? Perché questo sarebbe davvero il cambiamento per trasformazione: quello che porterebbe uomini e personaggi a compiere le loro azioni non solo spinti da ciò che desiderano, ma anche ispirati da ciò che hanno compreso. Non solo lanciati verso il raggiungimento del desiderio sotteso al proprio io, ma con un senso del compimento più grande. Segnalo i film di Hirokazu Kore’eda e di Naomi Kawase, ma anche di Kim Ki Duk e molti altri. Come si vede, ad altre latitudini il cinema sta già raccogliendo questa sfida. Il personaggio può sganciarsi da ciò che desidera ed esistere con pienezza.

Oltre se stessi

Oltre se stessi, dunque. Questa credo che sarà la partita. O forse me lo sto solo augurando. Certo è vero che noi raccontiamo solo le storie di cui abbiamo esperienza: non in termini concreti – posso anche raccontare fantascienza – ma in termini di vissuti interiori. E quindi è chiaro che bisogna aver fatto questo scarto prima come persone che come artisti: ascoltare se stessi momento per momento non può rinchiuderci in quello che desideriamo per noi, pena lo sganciamento dal mondo. È giusta la lotta per ogni genere di diritto, senza dimenticare però che siamo affidati a un dono e che nessun dono ha a che vedere con il diritto, perché per quanto ne sappiamo in questa vita nessuno di noi ha scelto dove, come e quando nascere e nessuno di noi l’ha nemmeno meritato in qualche modo. Non abbiamo preferito vivere nel Sistema Solare anziché nella Galassia di Vega. Non abbiamo scelto noi il linguaggio specifico nazionale con il quale abbiamo imparato a dare i nomi alle cose.

Il volo del nuovo cinema è pronto al decollo e mi auguro che saprà portarci tutti sani e salvi in un’altra terra di senso e di cuore, in equilibrio tra i cambiamenti fluidi di rotta e il carburante a disposizione. Passiamo pure da dove preferiamo, ma i giorni a disposizione per farlo non sono infiniti, il carburante è quello e la meta lontana.

Buon viaggio, quindi. The show must go on.

Era: Covid, Gender e Suicidio Assistito. Dove andrà il cinema di domani? di Giovanni Covini

Una risposta

  1. l’amore non è legato al desiderio, l’amore è verso il tutto ed il tutti o non è! Ama il (tutto) prossimo tuo come te stesso!

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