Scopro adesso e quasi per caso che oggi sono 30 anni che è morto Truffaut. Per me è come l’anniversario di un parente. Ci sono persone che non avevano  bisogno di incontrarci per conoscere il nostro cuore meglio di noi. A parte nome e cognome, lui sapeva tutto di me. Oggi mi domando da un altro punto di vista cos’è che mi piaceva tanto di lui e delle sue storie quando ero un adolescente, quando ho cominciato a diventare grande, quando ho fatto teatro e quando ho deciso di sposarmi, quando ho avuto dei figli, quando ho vissuto i miei lutti, quando sono stato felice, fino a stasera. Che cosa ha fatto sì che Truffaut fosse per me così importante?

Oggi la definirei una sorta di adesione incondizionata alla vita. Senza paura del dolore, senza paura della morte (quando era ricoverato per il suo tumore al cervello chiese ad un amico di prestargli una pistola rassicurandolo: ‘Te la ridò lunedì’). La sua era una caccia disperata all’amore. Aveva capito che non esiste altro, che l’amore è la materia della materia. Era connesso con tutto quello che gli arrivava senza giudicarlo. Almeno le sue storie a me dicono questo. Per amore vale la pena di qualsiasi cosa perché al di fuori dell’amore non c’è niente. Il finale de L’Uomo che amava le donne è una sintesi abbagliante di questo percorso.

Ma soprattutto, Truffaut apparteneva alle storie. E’ solo una questione di apertura interiore. I suoi film  sono i film di un posseduto. Non era lui che decideva di farli: erano loro a trapassare lui per arrivare dritti nel nostro cuore. Era un sacrificio completo, nel senso vero della parola sacrificio: rendere sacro. La storia prima di tutto. I personaggi prima di tutto. E tutto il resto al loro servizio.

Truffaut era un servo. Un servo nostro e delle nostre storie. Aveva l’umiltà di chi ambiva a cose enormi e quindi non si fidava delle sue sole forze. Convocava per sé fino all’ultima stilla dell’energia degli attori, guardando i suoi film e leggendo le cose che diceva ti sembra quasi che lui chiedesse agli attori “per favore, aiutami”.

Alla fine mi sembra che  Truffaut avesse accettato fin da subito, fin da bambino, di appartenere alla propria vita. Senza trucchi. Senza deviazioni. Con le durezze e le gioie. Senza fughe. Senza doppie piste. Grato di tutto.

Quando morì, Fanny Ardant disse: “Non si può amare nessuno senza danno”.

Per tutto l’amore, per averci insegnato che i film si fanno solo quando si sente di appartenere ad una storia, quando si viene davvero scelti da quella storia, per il solco luminoso e profondo che hai lasciato in così tanti di noi, grazie François. Ovunque tu sia nel tuo viaggio.

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