“Nel 1968 il neuropsicologo Alexander Lurija scrive del caso di “un uomo che non dimenticava nulla”. S. era capace di ricordare lunghe serie di numeri o lettere in modo preciso, anche a distanza di diversi anni  dalla presentazione della serie; ricordava fin nel minimo dettaglio tutto ciò che gli accadeva: ma a causa di questa straordinaria capacità la sua mente era ingombrata da rievocazioni esatte ma inutili di eventi e informazioni di poca importanza. Ricordare ogni aspetto di ogni singolo evento non è produttivo; Lurija scrive del suo paziente:

    (…) egli vedeva come attraverso una nebbia sottile, ed è difficile dire cosa fosse reale, se il mondo dell’immaginazione, in cui viveva, o quello della realtà in cui altro non era che un ospite provvisorio…

     Paradossalmente, ricordare tutto è come non ricordare nulla; se ogni memoria è pertinente nella stessa misura, attiva e viva in ogni momento allo stesso livello, non c’è passato ma solo un eterno presente e l’individuo diventa incapace di decidere e di agire. L’oblìo è, allora, una caratteristica di adattamento della memoria: solo alcuni elementi di alcuni ricordi sono pertinenti in certe situazioni; le altre informazioni vanno perse ed è proprio questo criterio di selezione che ci consente di sfruttare l’informazione tratta dall’esperienza passata per decidere e mettere in azione i nostri piani.

     Una questione rilevante è, allora, come facciamo a operare una tale selezione. Le emozioni sono il meccanismo che spiega come la nostra memoria opera una selezione sull’esperienza, sia alla codifica (le esperienze emotivamente “forti” sono ricordate meglio), sia – soprattutto – al recupero.”

       Sto leggendo con enorme interesse questo libro, e mi soffermo su questo frammento. Perché mi sembra che in gioco non ci sia soltanto il funzionamento della nostra mente, ma più in generale le nostre idee di limite e di prestazione. Mi sembra che tutto ci spinga – certo, anche una quantità di storie raccontate in un certo modo soprattutto dalla televisione e dal cinema – ad identificare la massima prestazione più a livello quantitativo che sotto il profilo qualitativo. 

    Ma questa considerazione di Erica Cosentino, e cioè che proprio l’oblìo è un grande alleato nell’estrapolare e definire le cose importanti dal flusso di tutte le altre, mi richiama visivamente alla messa a fuoco e alla profondità di campo. Più importanza ad una cosa significa meno importanza a qualcos’altro. Una sottolineatura qui è un alleggerimento là. Un’economia narrativa non può accettare eque ripartizioni perché in una storia le cose non sono mai importanti tutte allo stesso modo, nemmeno quando fossero “grandi” uguali, perché il punto di vista le posiziona e le dimensiona in modi diversi. 

    Dietro a questa spinta alla performance su tutti i fronti, i nostri limiti stanno lì – poco pubblicizzati e gelosamente nascosti –  insieme a tutto quello che possono dirci dei nostri personaggi e di noi.

 

 

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