“La paura non è certo una novità per la vita umana. L’umanità l’ha conosciuta fin dai suoi inizi; in qualsiasi elenco sintetico delle caratteristiche dell’umanità, la paura si collocherebbe in uno dei primi posti. Ogni epoca della storia si è differenziata dalle altre per avere  conosciuto forme particolari di paura; o piuttosto ogni epoca ha dato un nome di propria invenzione ad angosce conosciute da sempre. Queste definizioni erano delle interpretazioni latenti: nel senso che informavano su dove erano collocate le radici profonde delle minacce e dei timori, su cosa si doveva fare per evitarle, o sul perché non si potesse fare nulla per proteggersi.

Dopo tutto, un altro tratto saliente dell’umanità consiste in quelle facoltà cognitive e conative così fortemente intrecciate tra loro, che solo i “filosofi”, ben allenati nell’arte della distinzione, possono e riescono ad immaginare separate. Le minacce sembrano essere sempre state ostinatamente le stesse. Sigmund Freud le ha classificate in modo definitivo:

Siamo minacciati dalla sofferenza da tre versanti: dal nostro corpo, condannato al declino e al disfacimento e che non può funzionare senza il dolore e l’ansia come segnali di pericolo; dal mondo esterno, che può scagliarsi contro di noi con la sua terribile e formidabile forza distruttiva; infine dalle nostre relazioni con gli altri.

Si può ritenere che questi “versanti”, in fondo siano già delle “interpretazioni”: delle interpretazioni così costanti e resistenti, al punto da essere diventate “autoevidenti” e per nulla considerate come tali. Ma dietro le tre forme di paura appena nominate, si intravede da lontano la presenza di una “madre di tutte le angosce”, la minaccia che quotidianamente genera tutte le altre e non permette loro di allontanarsi troppo: la minaccia della fine, l’epilogo brutale e improvviso, l’unico oltre il quale non c’è inizio.

La morte è l’archetipo di questa fine, l’unica che si mostra solo in un’unica forma. La condizione umana allo stesso tempo vincola il tempo (time binding) ed è vincolata dal tempo (time bound); la mente che padroneggia il tempo ha tutte le ragioni per sperimentare se stessa come eterna, ma dimora in un involucro chiaramente e irrimediabilmente transitorio.

La caducità di quest’ultimo ridimensiona, frena e annichilisce il senso di immortalità della prima; alla fine interromperà quella sensazione di eternità, ma molto prima che il sereno “per sempre”  si trasformi in un inquietante “finché”. Essere umani significa allo stesso tempo conoscere questa condizione, essere incapaci di influire su di essa in qualche modo, ed essere consapevoli di questa incapacità. Questa è la ragione per cui essere umani significa anche provare paura.

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