Ieri sera mi è capitata la fortuna di girare la generale di “Giovanni, il dissoluto in attesa di giudizio”.  Debutterà stasera e sarà in scena fino a sabato. Mentre andavo mi chiedevo perché Gianluca e Marcela avessero sentito il bisogno di confrontarsi con don Giovanni. Le trappole sono moltissime, il mito è usato, usurato e abusato, le cose facili sull’argomento si sono sprecate. Perciò avevo più paura che speranza: perché non vedendo una strada sensata per percorrere la vicenda, ritenevo presuntuosamente che non ce ne fosse una.

    Invece.

    Lo spettacolo guarda il mito di don Giovanni da fuori, da dentro, tagliandolo e attraversandolo con occhi di volta in volta differenti. Testi diversi e di provenienze distanti si alternano e dialogano felicemente tra loro. Anche in questo poteva starci il rischio del solito spettacolo – citazione, nel quale l’unica cosa che viene fuori è quanti bei libri si è letto l’autore (quanti ne ho visti in questi anni…).  Invece qui non succede. Perché spesso – quasi sempre – i testi citati sono appoggiati sul carrello del personaggio che cresce, filano sulle ruote di una storia che corre. Che è quella che in ogni caso ti tiene lì, coinvolto nello sviluppo del personaggio e nel suo percorso.

     E’ uno spettacolo divertente e doloroso. Un padre che tiene corsi prematrimoniali in una parrocchia e cita pretescamente Benedetto XVI e i suoi discorsi su coppie di fatto, sessualità, matrimonio, castità… con un figlio che sta crescendo, in lotta e in coppia con i propri ormoni. Se vogliamo la linea non è nuova. Però qui è percorsa con intelligenza e con forza, perché è percorsa dall’interno dei personaggi. E diventa evidente quanto le due strade non siano nemmeno in conflitto: semplicemente non si incontrano.

    Alle parole di Benedetto XVI non rispondono altre parole: risponde l’urgenza della natura, che non fa polemiche e non ha ideologie: è se stessa semplicemente. Poi il ragazzo cresce, e tutto ciò che era scoperta, avventura, emozione limpida e coinvolgente, diventa ripetizione, stanchezza, disperazione. Certo che c’è la mancanza di un riferimento di senso che argini  il disastro e ripari dalla solitudine, ma questo riferimento sembra non trovarsi. Con un padre che rinuncia al proprio ruolo e si fa schermo con le encicliche, con tutta questa bellezza così facile da cogliere per Giovanni, sprofondiamo gradualmente nella catastrofe del padre e del figlio.

    Come ha potuto una generazione accettare incondizionatamente il libretto di istruzioni del Vaticano, che non ha mai tenuto conto della vita ? E come pensa di riuscire a trovare una strada per vivere quest’altra generazione, che rifiuta di collocare la parola futuro all’interno della parola progetto ? C’è una battuta intorno alla quale ruota il dilemma del non incontro tra due strade perdenti. E’ proprio di Benedetto XVI: “In questo l’uomo diventa simile a Dio: nella misura in cui diventa qualcuno che ama”. Fin troppo evidente l’equivoco che solleva, detta così potrebbe essere il manifesto della vita di Giovanni il dissoluto o il suo esatto contrario.

    Proprio sull’amore rimane la sensazione più desolante. E’ qui che brilla l’intelligenza della regia di Marcela, che Gianluca porta alla vita con grande talento e con generosità: la totale assenza d’amore. Un padre che ama Benedetto XVI più di suo figlio, un figlio che ama le donne più di se stesso e che alla fine non ama nemmeno quelle. Una rabbia latente e strisciante che scorre in tutti i personaggi.

    In questo l’uomo diventa simile a Dio, ripete Gianluca scandendo piano: nella misura… in cui… diventa qualcuno… che ama. E’ qui il disastro e – mentre giro – qualcosa ribolle dentro di me. Nel mio rozzo buonsenso mi trovo a pensare: in questo Dio è simile all’uomo: nella misura in cui scopre di essere qualcuno… che vuole… essere amato. Allora sì che Dio, Giovanni e suo padre, si ritroverebbero simili a pieno titolo e potrebbero finalmente comunicare…

    Ma è parola di Ratzinger. Per cui smonto la mia macchina e me ne torno a casa. E’ decisamente uno spettacolo che consiglio, l’indirizzo è sulla locandina qui sopra. C’è intelligenza in giro, c’è talento. C’è voglia di pensare e di parlare. E anche, moltissimo, di divertirsi. Per quattro sere, tutto questo allo Spazio 89 succede.

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