Domenica mattina, autostrada della CISA. E’ il 15 giugno ma sembra novembre. Quattordici gradi, nuvoloso, suggestivo ma del tutto inappropriato al momento. Devo arrivare a Santo Stefano di Magra. E non mi funziona il satellitare, per cui mi devo fidare di indicazioni scritte a mano per trovare una via. Alla radio fanno due conti sul prossimo futuro.
Rispetto a 40 anni fa la popolazione mondiale è quasi raddoppiata: da 3,5 miliardi a quasi 7 miliardi di persone, dicono. Le risorse energetiche vanno esaurendosi e allora si utilizzano coltivazioni per produrre carburanti. Con il dettaglio che le coltivazioni sarebbero destinate ad uso alimentare. Va beh, mi dico, il pianeta deve scegliere se mangiare al buio o morire di fame con la luce accesa. E tra l’altro, le macchine per il raccolto funzionano sempre con il carburante.
Se le cose vanno avanti così, intorno al 2050 – dicono – sarà carestia. Perché nemmeno tutti gli organi d’informazione culturale sono coesi. La Chiesa continua a raccomandare di fare figli e di pregare per chi muore di fame. L’opinionista ha molto a cuore questo punto. Continuo a guidare per le curve dolcissime: intorno poche case, prati, roccia. Un grande silenzio e un cielo basso basso di temporale in arrivo.
Devo chiamare a casa. Il satellitare non ne vuole sapere e non posso sbagliare, arriverei in ritardo. Dall’altra parte le voci dei miei genitori, cartina alla mano, mi indicano la strada, l’uscita. Ho letto recentemente che il prototipo della semiotica è l’uomo che cammina, simbolo dell’uomo che percorre la propria esistenza. Perciò i genitori che mi indicano un’uscita rappresentano un mentore… alla mia veneranda età, penso.
Poi ci sono i lavori. Men at work, prestare attenzione. Inizia a piovere, e in un attimo diluvia. Arrivo alla curva segnalata, e c’è un uomo vestito di arancione. Sposta sacchi. Con una lentezza che dice tutta la fatica. Lui a rallentatore, io in macchina. E di colpo siamo tutti lì. Una storia che scivola sul piano dell’altra: lui che lavora, io che passo veloce, i miei al telefono che dicono nomi di strade. E tutt’intorno campi. E sette miliardi di persone in aumento costante. E preti che invitano a fare figli, e opinionisti che gli abbaiano dietro.
Siamo tutti men at work. Non si sa a preparare quale sentiero. Siamo in sette miliardi a non sapere quale sia l’uscita giusta da questa orribile strada, ma i miei hanno un telefono solo e al pianeta mancano dei genitori veri. Guardo camionisti e pescatori alleati in una disperata lotta per il costo della benzina, sento i conti economici degli amici e faccio i miei, ascolto tre minuti a caso di informazione… e penso solo alla guerra. Non so dire perché. Forse perché prima di morire almeno si lotta. Perché milioni di persone non moriranno senza aver prima detto la loro. E lo faranno in una lingua chiara ed efficace.
La CISA scorre, l’uomo lavora sotto l’acqua, io guido e la radio parla. C’è un’ansia sottile che sta diventando parte dei ragionamenti che sento in giro. Una domanda crescente di senso. Che strada ci stanno preparando ? Che strada stiamo collaborando a costruire ?
certo giò..che il tuo senso dell’orientamento è da esporre all’Hermitage!!..eppure (non è il tuo caso ovviamente) senza quello, inteso in senso lato, non potrai mai capire dove ti stanno conducendo..
gigi
Che i genitori rappresentino un mentore… sì, ci sta ma dovresti aiutarmi ad approfondire il discorso.
un abbraccio post Fura con la tekno ancora nelle orecchie
elisabetta
scusa gigi… per San Pietroburgo dove devo prendere… ?
Siamo tutti più o meno Lost… Abbiamo tutti i nostri Alias.
Io, per esempio… che strada devo prendere?
Quello che sto facendo ha un senso? è unico o alternato?
Solo il tempo ha una risposta, ma arriva sempre in ritardo…