La ragazza cade a terra senza più muoversi, forse già priva di sensi. Riceve il pugno senza alcuna difesa. L’uomo raccoglie le sue cose e si allontana lasciandola esanime al suolo. Il video è a disposizione di tutti qui, sul sito dell’Ansa. Lo guardo e penso: l’Ansa è un sito di notizie. Perché questo pugno rappresenta una notizia? O forse la vera domanda che mi sto facendo è: dov’è il fatto? Qual è la vera questione?

In ordine di tempo le notizie sono due: la prima è che un uomo ha colpito una ragazza con un pugno violento che l’ha mandata direttamente in coma. La seconda è che molte persone che sono passate di lì non sono intervenute, anzi, hanno scansato pur vedendo il corpo della giovane donna a terra.

Mi sembra che ci siano due paure in gioco. Una è quella più concreta: accidenti, vivo in un mondo in cui se qualcuno mi tira un pugno capita anche a me come a quella ragazza. L’altra è: e se capitasse a me di assistere ad una scena così, cosa farei? Dietro allo scandalo che i media vogliono farmi sentire, sono così certo che farei diversamente?

Considero queste due paure e mi sembrano centrali nell’uomo. La prima è la paura per la perdita della propria vita, è il nostro istinto rettile che ci avvisa della pericolosità del mondo in cui viviamo; la seconda è la paura per la nostra identità che non conosciamo mai fino in fondo. Perché la cosa che mi scuote è che fra quei passanti potrei esserci io. Mi somigliano, camminano nello stesso modo e francamente… quant’è probabile che l’altra mattina in quella via abbiano fatto la selezione dei peggiori individui di Roma? Diciamo la verità: quelli sono come me e la cosa mi terrorizza.

Poi ce n’è una terza di paura, secondo me. Più defilata forse. La  paura della violenza che c’è in noi. Potrei mai arrivare ad un livello di rabbia tale da colpire quasi a morte una persona? Quell’uomo l’ha già fatto prima dell’altra mattina? Esiste una prima volta di qualcosa di noi che non ci aspettavamo? Quanto siamo pericolosi? Ma per molte ragioni possiamo sentirci più lontani da questa possibilità. Se non altro perché si pongono dei limiti fisici per cui bisogna anche essere in grado di nuocere.

Ora torno ai passanti, a quelli come me. A me. Forse il mio punto di vista è malato, non posso escluderlo. Ma questo video non mi stupisce. Fanno quello che facciamo di solito. Manteniamo la normalità. La nostra giornata, il flusso delle cose e delle nostre azioni. La normalità è rassicurante. Una donna con gli occhi chiusi per terra può essere una barbona, una povera drogata, o anche – finalmente – una che sta malissimo e che avrebbe bisogno urgente del mio aiuto. Ma questo implicherebbe rompere la mia separazione invisibile dal dolore improvviso, dalla paura, dal sangue forse. Dalla morte.

Questa normalità con la quale cammino per strada è un’anestesia. Si tratta di capire – lo chiedo sempre ai miei allievi quando affrontano il primo atto di una sceneggiatura, quello che di solito racconta il mondo normale, prima che i grandi eventi narrativi lo sconvolgano – di che cos’è l’anestesia questa normalità. Di quale dolore. Di quale ferita. Di quale colpo subito.

Per questo rivedo il video e sento la paura dei passanti. La vecchina con il carrello passa vicinissima. Il suo movimento è il movimento di chi scappa.  Se getto la scure su di lei, semplicemente mi rifiuto di vedere che la sua paura è la mia. Giudicarla significa separarla da me e negare la mia appartenenza allo stesso genere umano.

E poi c’è una questione di spazio. Guardo le immagini e vedo l’ampiezza del luogo. Naturalmente penso che questo significhi distanza tra i personaggi. Anche quando si passano vicino. Ma penso soprattutto che questa ampiezza esterna sia il ribaltamento dell’assenza di spazio interna. Un’assenza di spazio per cui i personaggi di questo film che mi rappresenta non riescono più a ospitare dentro di sé una storia che non sia la loro. Posso anche vedere una moribonda per terra ma lo spazio è così ristretto dentro di me che non ce la faccio a farla entrare.

Non so cosa ci abbia condotti a questo inferno fatto di noi e delle nostre paure. Un’ansia di sopravvivenza ci fa passare di lato, pensando chissà che, pur di non spalancare quella porta: il dolore e la morte dell’altro che gridano la nostra paura per il nostro dolore e per la nostra morte. E mi dico che la vera notizia è questa, per me: a Roma, in metropolitana, un uomo ha colpito una ragazza. La ragazza è per terra, immobile. I passanti non riescono a vedere la cosa. Uomo, ragazza e passanti – insieme a chi ha scritto questo edit – sono tutti in coma.

0 risposte

  1. Ho appena lasciato un post (ma lo pubblicheranno??) sul sito on line del corriere della sera, nella sezione dove è ospitato il forum di Aldo Grasso. Ieri sera nell’edizione serale del tg5 ero dapprima allibito, poi ho semplicemente taciuto. L’edizione parte giustamente con i servizi sul salvataggio dei minatori in Cile. Poteva trasformarsi in una tragedia. E invece la cronaca finalmente ci ha regalato un finale diverso. Ma poi che fanno questi del tg5? Mandano un servizio (appositamente studiato, progettato, pensato, realizzato prima) per comparare l’uscita dei minatori con quella dei reclusi nella casa del Grande Fratello!! Ma si dai, alè…cosa ci sarà di diverso, siamo curiosi..magari niente..è la stessa emozione, confrontiamo i comportamenti di quelli con quelli di quegli altri. sob! io non sono più riuscito ad aprire bocca, mentre Giovanna proferiva sostantivi, verbi, aggettivi un pò alla rinfusa..
    Oggi vedo che nessuno, nei media, dice nulla a riguardo..chissà – pensavo ieri sera – domani quali le reazioni, i commenti…nulla. Quindi taccio anch’io. Però – se non ci frega più di ‘vedere’ queste cretinate – potremo essere capaci più di vedere una ragazza per terra?
    gigi

  2. Mi viene il mente il finale di un bellissimo B-movie, “L’ultimo uomo sulla terra”, in cui il grande Vincent Price, accerchiato da ciò che resta del genere umano, persone ridotte a vivere come vampiri per resistere a una misteriosa epidemia globale, grida: “Voi siete dei mostri!”. Ma scorge la paura nei loro sguardi, forse si rende conto per la prima volta che è lui il mostro ai loro occhi, e allora si lascia morire, permettendo a loro di ricominciare a costruire una serena esistenza di quotidianità crepuscolare…

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