
Carissima Alice,
ho voluto mettere le tue parole sul mio blog perché non posso non riconoscervi una quantità di giorni e di persone che ho attraversato e incontrato. I tuoi sentimenti sono quelli di moltissima gente che ha lavorato e dato del suo meglio per molto tempo senza riuscire a vedere un ritorno congruente allo sforzo.
Poi vedo altro ancora. Vedo le facce dei furbi, quelli che hanno passato la giovinezza sotto i portici a fumare come dici tu. Li vedo passare avanti perché le corsie di sorpasso hanno regole ogni volta sorprendenti. Insomma: è uno schifo e lo sappiamo, impossibile darti torto soprattutto se ti si conosce.
Però una libertà ce l’abbiamo ancora secondo me. Quella di dare alla situazione un significato accettabile per noi. Quest’operazione non cambierà le cose ma potrebbe cambiare il nostro essere vecchi e incazzati. Si tratta di non concedere a una situazione che ha il potere di cancellare tutto il lavoro che abbiamo fatto e che stiamo facendo, anche il potere di cancellarci dentro.
Una distanza, se ci riusciamo, anche dal nostro legittimo risentimento. Prendo la tua storia perché dal mio punto di vista è esemplare. Hai fatto ogni passo, anche con grandi dolori, conquistato ogni centimetro. E oggi aspetti un figlio che nascerà a breve. Tutti i tuoi 30 anni sono il contesto storico che hai creato per te stessa. Quando uno di noi dice Alice sa una serie di cose. Questo contesto storico che è costituito di dolcezza, di serietà, di pulizia intellettuale, di affidabilità, è una poderosa costruzione fatta di tempo e di gradini saliti.
Questa costruzione che è Alice con quello che rappresenta, è il contesto in cui nasce tuo figlio. Non stare sotto i portici è servito. Non restare a guardare, non entrare come dici tu senza sporcarsi le mani nel mondo del lavoro, è servito. Tuo figlio nasce in un mondo di senso che nessun abbrutimento sociale può diminuire. Non concediamogli questo potere.
Ho letto che c’è un modo per conoscere se in fondo a noi ci sono desideri profondi o semplici pretese: se di fronte alla loro frustrazione proviamo dolore erano desideri, se proviamo stizza erano pretese. Non so quanto sia vero ma la tua rabbia – che non si può non trovare più che legittima – ti auguro di riuscire a trasformarla. Molti esponenti della gloriosa generazione del ’68 hanno rimproverato alla mia di non avere nessuna “rabbia”. E’ una cosa che non ho mai capito. Quasi che la rabbia fosse garanzia di efficacia, di intelligenza, di laboriosità.
Posso decidere che non amo lo stato delle cose e posso non conferirgli il potere di devastare anche la mia interiorità. Te lo scrive uno che è famoso per le sue insonnie ostinate, per i suoi momenti di sconforto e per la sua scarsa propensione all’ottimismo. E’ proprio perché non ne sono capace che lo auguro a te. Fare come le capre della foto. Imparare a camminare sui rami dei significati per andare a mangiare i suoi frutti più rarefatti e difficili. Imparare ad assegnare senso alle cose in modo che le cose non abbiano il potere di togliere senso a noi.
Mentre lo scrivo a te lo sto dicendo a me come ben immagini. Più divento vecchio e meno questa storia dell’incazzatura mi convince. La tua incazzatura è il primo successo di una realtà sfavorevole contro di te. Invece c’è un bambino in arrivo che nasce in una culla di affetto e di significato, con una madre che ha pagato tantissimo senza riuscire – al momento – ad avere quello che si meriterebbe. E che nonostante questo, sorride. Tanti auguri, Alice. Ti abbraccio.
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