Sul sito di Massimiliano Foà compare la mail di una nostra amica comune, Alice. Trovo le sue parole particolarmente chiare e appassionate e le chiedo di poterle pubblicare anche qui. Dietro suo consenso, ecco quello che ha scritto all’alba del suo trentesimo compleanno e della sua prima maternità.

L’alba dei trenta.

Questo è un mondo dove il principio di meritocrazia non esiste, non esiste più, o non è mai esistito.
Certamente questo è il punto in cui io ne prendo coscienza.
Il concetto di lavoro e di ruolo e di responsabilità è totalmente funzionale a logiche che nulla hanno a che vedere con il lavoro stesso, le responsabilità stesse.
Lavoro da quando ho 19 anni,anzi, se vogliamo considerare un lavoro le ripetizioni a domicilio lavoro da quando ne ho 17, da quando cioè faccio la quarta superiore.
In mezzo ci ho fatto stare una laurea, per quello che oggi interessa, e per quello che conta, meglio dire, perché è di conti che parlo.
Di conti che non tornano.
Da quando ho 22 anni, decisamente prima di laurearmi quindi, lavoro a tempo pieno, quindi senza più scuse ne’ alibi per chi legge il tuo curriculum (lo legge, qualcuno?) e ti incasella tra i “giovani lavoratori”.
Non sono giovane per niente, sono vecchia e incazzata sapete?
Perché mi chiedo perché non ho passato le mie giornate dei vent’anni a fumare nei chiostri dell’università, a prendere aperitivi nel bar di fronte, perché penso a tutte le sere passate a studiare invece che tra le braccia del mio uomo oppure alle volte in cui non mi sono comprata un vestito, una cena, un regalo, per pagare affitto, mutuo, vacanze e motorino.
Perché?
Avrei potuto fare qualche anno all’estero, fare finta di studiare e sbattermi, poi tornare e fare anche finta di lavorare, non farlo sul serio, e poi in fondo chi mi avrebbe privato dei soldi per la birra la sera e le vacanze d’estate?
Poi, con molta calma, avrei potuto laurearmi sulla soglia dei trenta, farmi comprare una casa da papà e mamma, e poi con tutta la calma del mondo entrare nel mondo del lavoro in punta di piedi, senza sporcarmi troppo le mani, e senza il bisogno di dimostrare che ero capace, di lavorare, di fare, di decidere, di organizzare.
Adesso sarei il capo di me stessa, nel senso che nella gerarchia che ci incasella nei ruoli universali del mondo del lavoro starei molto più in alto.
Il mio cervello forse sarebbe lievemente più atrofizzato, certo.
Cerco di consolarmi così ma così non è, perché il mio cervello si sta atrofizzando ugualmente.
Non me lo fanno usare, e se me lo fanno usare è solo per difendermi da fregature peggiori.
Niente che abbia a che vedere con la progettualità, la crescita, l’apprendimento anche, ché certo non credo di essere da nessuna parte, ma certo non posso pensare di essere più in basso di tutti voi, questo no.
Nemmeno per anzianità, proprio perché, vedi sopra, nemmeno l’essere giovane mi sono concessa, e ora mi ritrovo, come in un fottuto contrappasso, a pagare col marchio “giovane” tutto l’impegno profuso inutilmente, il senso del dovere e della regola, il senso di responsabilità.
Chi sta più in alto sarà sempre più anziano, sulla mia carta d’identità ci sarà sempre scritto 1980 e quindi che dovrei fare?
Attendere che chi sta sopra vada in pensione per garantire una mensilità decente e dignitosa a me e alla mia famiglia?
Bastava dirlo, ripeto, avrei fatto vacanza fino ad ora, e non mi ritroverei vecchia ed incazzata all’alba dei trenta.

All’alba dei quarantadue mi serve qualche giorno per pensarci.

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