Ma andare “fuori” non basta. Il proverbio dice “andare in un sacco e tornare in un baule”. Esperienza è anche quando ci capitano cose. Se poi sono cose difficili da superare, la nostra esperienza parrebbe essere ancor più valutata. Quell’uomo ha visto molto e ha provato molto… Altra foto di Damiano, che mi accompagna in questa riflessione sulla storia vista come arco di esperienza di una persona. Il viaggio ti entra negli occhi e ti si scrive nel cuore, come per questa ragazza. Niente è indifferente.

    Ciò che è fuori configura e modifica ciò che è dentro. Se non è così, anche andare  oltre il proprio mondo non serve a niente. Sono gli occhi vigili di questa ragazza la chiave della storia che Damiano ci racconta. Perché le cose attorno a noi capitano sempre, non c’è bisogno di particolare sfortuna o fortuna. C’è bisogno di uno stato di veglia che è ciò che in questo tempo non viene favorito, per usare un eufemismo.

    La fiction si chiama reality, i telegiornali hanno colonne sonore, vero, falso, informazione e entertainment si impastano, i candidati di destra dicono le stesse cose di quelli di sinistra, e se perdiamo il contatto con la verità di quello che stiamo vivendo, anche se molto avviene non ci capita nulla. Nulla a noi, nulla per noi. Una persona che ultimamente ha raccontato molto bene questa paralisi interiore per cui la vita scivola sui nostri personaggi senza toccarli, senza produrre in loro alcuna esperienza, è Marina Spada con il suo “Come l’ombra”.

     Ecco un problema tosto su cui lavorare. Il contatto tra i nostri personaggi e quello che gli capita. Che è poi un altro modo di dire: la loro capacità di assegnare valore ai fatti e alle persone che li circondano. Ho appena visto, con il solito ritardo, “La vita segreta delle parole”. E trovo che sia un meraviglioso esempio di sceneggiatura, di regia e di recitazione, proprio di quello che sto cercando di capire adesso. Menomati di vista e udito, i personaggi di questo film sono mondi interiori portati allo scoperto. Se non ti vedo, ciò che rappresenti per me è scevro di ogni componente estetica, è una sospensione della superficie e un’immersione nel mondo del valore.

    Se raccontare una storia è raccontare un’esperienza, se l’esperienza è costituita di cose che ci capitano fuori / dentro, credo che oggi il cinema si possa giocare una partita fantastica e per certi versi necessaria: risvegliarci. Dal torpore mediatico rispetto a cui soltanto le difficoltà economiche crescenti sembrano poter agire efficacemente. Provo una nuova approssimazione: raccontare una storia è tessere un arco di esperienza, e cioè:

    1. Portare un personaggio fuori dal mondo interiore / esteriore cui apparteneva

    2. Fargli capitare molte cose fuori, e  fare in modo che risuonino dentro di lui.

 Ma mi sa che non è finita…

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