In questi ultimi mesi mi è capitato di tenere corsi di sceneggiatura molto più frequentemente che in altri periodi. Così ho avuto l’opportunità di confrontarmi con domande e richieste di approfondimenti che mi hanno spinto a ripensare le cose che davo per scontate. Credo sia questo che mi piace dell’insegnamento. Chi ti sta di fronte ti offre un punto di vista che non hai mai avuto o che non hai più. E se ci stai, se accetti il disorientamento e la possibilità dell’errore, quella che ti si apre è una palestra formidabile e molto divertente.

    Una delle cose sulle quali sono stato “tartassato” di più dai miei studenti di quest’anno, è stata la questione tematica. Di che cosa parla realmente la storia che stiamo raccontando. Il problema è talmente centrale e talmente ignorato che non si può pensare di risolverlo e digerirlo in breve. Lo si capisce per gradi e i miei studenti quest’anno mi hanno molto aiutato a capirlo meglio.
La domanda alla fine era un po’ questa: come faccio a capire di che cosa parla veramente una storia ? Se il tema non coincide con la trama, se non coincide con l’ambientazione, se non coincide con il famigerato messaggio del film… allora dove si trova ?

    In teoria il tema si evince dalla sequenza delle azioni del protagonista. La logica della sua traiettoria ci dovrebbe rivelare di che cosa stiamo parlando, ma… in modo meno vago ?
In modo meno vago credo che – ma è un’idea mia e quindi del tutto da verificare anche per me – il tema di una storia lo si evinca da una relazione profonda. Quella che esiste fra il limite interno del personaggio, il suo “fatal flaw”, il suo luogo d’ombra intimo e irrisolto, il suo dolore insomma, e l’azione decisiva che compirà nel terzo atto, e che darà la svolta in un senso o nell’altro alla sua storia.

    Il rapporto che esiste fra il nostro mondo interno e quello che facciamo nella vita, con gli altri e in mezzo agli altri, è il luogo in cui può essere rintracciata la risposta al vero tema della nostra storia. Di che cosa parliamo quando viviamo, si potrebbe dire parafrasando Carver.
Non tanto di che cosa parlano gli eventi della nostra esistenza, quanto come risuonano quegli eventi dentro di noi. Che impatto hanno sul nostro mondo interiore, con i suoi problemi e le sue fragilità.
Insomma prendiamo il punto debole interno del nostro protagonista. Mettiamolo lì sul tavolo, scriviamolo su un foglio. Poi prendiamo l’azione finale che compie. Il suo gesto risolutivo nel terzo atto. Scriviamoglielo in fianco. In che relazione stanno le due cose?

    Ecco, confusamente, rudimentalmente, approssimativamente…. secondo me il tema è tutto lì.

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