Nove e trentasette. Ingresso scuola. Moltitudine di fronte all’unico ascensore del palazzo. Sale il primo carro bestiame. Il resto attende. Dopo qualche minuto l’ascensore torna giù. Salgo con il secondo carro. Il primo a lanciarsi dentro è un giovane alto e magro, che schiaccia con foga il tasto 2. Gli altri vanno tutti al 4, la cosa è evidente perché sono studenti e la scuola è solo al quarto piano.

L’uomo si ficca in fondo all’ascensore. Al secondo piano le porte si aprono e lui deve scendere. Chiede permesso a tutto il gregge stipato sotto la luce al neon e nell’aria che sintetizza i deodoranti e i profumi di undici persone. Meglio delle sintesi che avvengono a fine giornata, comunque. Il gregge si smuove, e in qualche modo riesce a farlo passare.

In aula sottopongo il problema. C’è un ostacolo: il probabile ritardo. Un desiderio: arrivare prima possibile. Un’azione: correre. Ma c’è anche qualcosa che non funziona. Perché cacciarsi in fondo all’ascensore se sai già che devi scendere per primo ? Ci saremmo stati tutti, era evidente, e il personaggio avrebbe potuto agilmente salire in coda e schiacciare 2.

Lo chiedo ai miei studenti che si guardano pensierosi. Perché quest’incongruenza ? Il personaggio se ha fretta fa le cose velocemente, ma la velocità non coincide con la mancanza di logica. A quella bisogna trovare una motivazione più profonda. Ansia, dice qualcuno. Giusto. E che cos’è l’ansia per un personaggio ? L’ansia è lo specchio interno dell’ostacolo esterno. Qualcosa che ha a che vedere con i problemi che il personaggio ha con se stesso, e che vengono attivati dal problema esterno contingente.

Ascolto la risposta. Certe volte sono così felice…

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