
Esistono posti così lontani dal tuo che possono sembrarti altri mondi. E forse lo sono. Puoi trovarti in un mondo in cui al primo piano ne devi salire ancora uno per arrivare a piano terra e andare al bar. Se ti capita questo, hai buone possibilità di trovarti a Vernicefresca. Il punto è che quel che per me è strano per Vernicefresca è quotidiano. Questione di parametri e di significati.
Ci si scambia questo, credo, quando da provenienze lontane ci si incontra per lavorare intorno a una storia. Ma non è di teatro che voglio parlare. E’ di un altro modo di vivere, che mi ha colpito e non poco. Voglio raccontare di una cena memorabile e senza fine, qualche giorno prima del debutto, a casa dei genitori di uno dei ragazzi di Vernicefresca. Del giardino che quella sera ha ospitato le nostre chiacchiere e anche le nostre preoccupazioni. Del rimprovero del padrone di casa che trovava quasi offensivo che io ringraziassi per l’ospitalità. Segno di affetto da parte mia, segno di estraneità per lui. Con loro, tutti i genitori dei ragazzi mi sono sembrati partecipi e anche molto generosi nei miei confronti.
Mi piace parlare di Silvia che mi accompagna alla sede e a momenti investe un ragazzino che le taglia la strada in motorino come un docente di suicidiologia. Silvia inchioda, lo guarda innervosita nel retrovisore, davvero una questione di un attimo, e riparte senza nemmeno toccare il clacson. Ma non era il paese degli urlatori? Non erano i maleducati che berciavano sulle strade?
Mi piace sentire ancora l’odore sfumato della vernice sulla mia mano. Vernice blu, scelta da me per lasciare la mia impronta sul muro della sede, accanto a quella di tutti coloro che sono passati e che hanno lavorato con i ragazzi. Ho scelto il blu perché è il colore del mare – il luogo del mondo che amo di più – e ho scelto la mano sinistra perché ci fosse anche il segno di Giada, anche un pezzo di lei in questo mio viaggio forse troppo lungo visto da altre prospettive.
Mi piace ricordare Pasquale, un ingegnere professore universitario. Difficile incontrare persone che siano a un tempo tanto autentiche e tanto surreali. Una sera l’abbiamo passata a farci spiegare perché un gatto in una scatola chiusa può essere vivo e morto nello stesso tempo e perché solo l’apertura della scatola può dirimere il problema. Pasquale spiegava che un fenomeno si modifica per il solo fatto di essere osservato.
Penso a Rossella che ha fatto la sua prima regia. Penso che lei adesso stia capendo quello che spiegava Pasquale. Perché se al posto del gatto in scatola metti attori sul palco ti rendi conto che il tuo osservarli – l’osservarli di qualsiasi pubblico – li modifica di per sé. Che l’accendersi della verità in scena dipende anche dallo sguardo di chi sta in platea, perché la verità in teatro è sempre la verità di qualcuno per qualcuno.
Mi piace parlare di Geremia che operato e dolente va ad appendere i manifesti di Troppo Mare nel caldo torrido del pomeriggio, del suo entusiasmo per le cose che si fanno, persino della sua nostalgia per Milano – su questo faccio davvero fatica a seguirti caro Geremia….
Mi piacciono i silenzi di Jessica, che apre la bocca solo per cantare. E se ne accorgono tutti. Nel frattempo pulisce fa la spesa monta smonta sale scende compra telefona apre chiude e sorride. I personaggi così silenziosi e defilati mi mettono sempre un po’ di soggezione. Perché guardano. E pensano.
Mi piace la cortesia di Giuseppina, insegnante di canto di Vernicefresca. Mi piace la dolcezza con cui inchioda i ragazzi anche al quarto di tono. Mi ha stupito l’educazione con cui ha protestato con me perché ho deciso troppo tardi le canzoni dei ragazzi. Separare l’errore da chi lo commette è un atteggiamento di grande libertà, che rende leggero il lavoro di tutti.
Mi piacevano anche le urlate senza voce di Simona, la coreografa della scuola insegnante di danza. Lei fa e gli allievi ripetono. Poi partono gli strali. Ma non ce la fa, i suoi occhi sorridono sempre, anche quando vorrebbe fare l’arrabbiata.
Ho molto amato – anche se ho contestato il momento – la cucina di Nadia. Insomma, andare ad Avellino non è consigliabile se sei a dieta. Ma lei è inarrestabile e vuole far diventare la sede di Vernicefresca una vera casa. Quante cose abbiamo assaggiato? Non lo so più. Lei è la fondatrice della scuola e la sta guardando crescere e prendere la propria strada.
Naturalmente… Max, mentore del loro mondo e amico che mi ci ha condotto. Gli ho detto scherzando che per lui è vietato ridere dopo le dieci di sera. I vicini potrebbero protestare. Una presenza potente che ha deciso di sostenere con la sua forza Vernicefresca.
Dei ragazzi non parlo nello specifico. Ma insieme sono davvero qualcosa. Li ringrazio di cuore perché mi hanno abbracciato da un mondo lontano. Sono tutti specifici, in alcuni momenti anche speciali.
Dalla mia valigia escono anche parole nuove. Avere la uàllera, arronzare, alluscare. Non mi chiedete niente. Tradurre non serve. Bisogna andare là. Ciao Avellino, è stato bellissimo.
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