Il lavoro di Valentina, alla stregua di quelli dei suoi compagni, ci porta da una parte della storia. Esplora. E serve a farci capire cosa succede quando esploriamo. Naturalmente ci fa capire solo alcune delle cose che succedono, perché ogni volta è un’avventura nuova. Vorrei vederne rapidamente alcune.
Intanto la back story. Ovvero la storia che ci stava dietro, il pregresso. Appena ci avviciniamo a un punto di vista, e quindi appena il fatto non è più un fatto ma una nostra azione, ci viene spontaneo cercare il perché dell’accaduto. E il perché lo si trova sempre nel passato. Le cause partoriscono le conseguenze, e la madre nasce prima del figlio. Ma il cercare indietro implica la sospensione del giudizio: sul gesto e sul personaggio che l’ha compiuto. Scrivere significa andare in cerca dei motivi, e quasi sempre questo coincide con l’andare in cerca dei dolori. Perché le azioni che i personaggi compiono sono sempre dettate da desideri, consapevoli o no che siano, e i desideri dicono sempre di qualcosa che ci manca.
La moglie che Valentina ci regala entra nel suo racconto prima che il suo gesto emerga come determinante nella storia. Mentre nell’articolo ANSA la moglie trova il suocero e di lei non sappiamo nient’altro, Valentina ha costruito un percorso coerente che dà a quel fatto finale il sapore dell’inevitabile sviluppo di una relazione. Vediamo perché. La moglie tiene la contabilità anche del padre di lui, il che significa che è lei il principio di realtà. Lei è la prima a rendersi conto che qualcosa non va con quella badante. Padre e figlio restano folgorati, infinocchiati. La moglie è diversa, talmente più lucida che gestisce anche i conti del suocero.
Il personaggio del figlio, nostro punto di vista, possiamo fotografarlo con due frasi: “con le buone” e “a mali estremi estremi rimedi”. Nel racconto di Valentina l’uomo è un tessuto coerente e pericoloso di emozioni e semplice buon senso. Prova a separare badante e padre “con le buone”, poi come ha sentito dire dalle sue maestre ai tempi della scuola, forse dalla sua mamma nei castighi, forse dal suo stesso padre, forse come lui medesimo ha detto mille volte ai suoi figli… “a mali estremi”. Premessa e autogiustificazione per le sanzioni più dure, tante volte subite senza poter ribattere. Adesso diventa grande, adesso si fa adulto e può finalmente dirla lui questa frase: a mali estremi.
C’è tutta una traiettoria in queste poche parole. Tutta una relazione. Tutto un trascorso. Allora: senza passato e senza tessuto relazionale nessun punto di vista può essere esplorato e conosciuto. Il narratore non ha mai fretta di sapere chi ha ragione. Non è una domanda utile a capire. E le conclusioni non sono mai soddisfacenti. La necessità dell’azione rispetto a chi la compie è invece molto più interessante. Perché gli era così necessario uccidere ? Cosa l’ha reso inevitabile ? Quale dolore ?
I ragazzi hanno citato il caso di Garlasco e il modo in cui è stato trattato dai media. Si possono aggiungere una marea di piccoli paesi diventati famosi nello stesso modo. Una marea di dettagli, nessuna voglia di capire.
Lascia un commento