Posto in due puntate un racconto di Elisabetta. Nel quale dice la verità sulla propria vita e sulla propria esperienza dell’infanzia. Mi ha molto colpito, come sempre in questi casi mi viene in mente quel che dice Peter Del Monte: “Cercate lo stile e troverete la morte, cercate la vita e troverete lo stile”. Buona lettura, per me ne è valsa decisamente la pena…
 
PIOVONO FIORI DAL CIELO
(mai come adesso)

     6.30 del 24 Gennaio 1979. Guido Rossa, operaio sindacalista dell’Italsider di Cornigliano, saluta la moglie e la figlia sedicenne per recarsi al lavoro.
Viene ammazzato pochi minuti dopo, al volante della sua Fiat 850.
Volevano gambizzarlo ma uno dei killer torna sui suoi passi. Indietro, verso Rossa che forse, in una pozza di sangue, sta pensando di averla scampata. Rompe il vetro della macchina e spara due colpi al cuore.

“Colpirne uno per educarne cento”. Brigate Rosse.

Circa tre mesi prima Guido Rossa aveva denunciato Berardi, postino e fiancheggiatore delle B.R. attivo all’interno dell’Italsider, morto suicida in cella.

    L’autore materiale dell’omicidio è il brigatista Dura che il 28 marzo 1980 verrà ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel covo di Via Fracchia, insieme ad altri terroristi.

“Nulla rivela a tal punto l’enorme storica positività dell’autovalorizzazione operaia, nulla più del sabotaggio. Nulla più di quest’attività continua di franco tiratore, di sabotatore, di assenteista, di deviante, di criminale che mi ritrovo a vivere. Immediatamente risento il calore della comunità operaia e proletaria, tutte le volte che mi calo il passamontagna”. Toni Negri
27 Gennaio 1979. Fa freddo. Sul treno il riscaldamento non va.

    E’ sabato, ho saltato la scuola. Nessun compito in classe nessuna interrogazione. Si poteva anche andare. Salto anche la partita di pallamano. Mi scoccia ma non si può dire. Ragazzina superficiale. Sono seduta in seconda classe, il treno è pieno. Mio padre ha scelto un regionale, da Milano a Genova fa tutte le fermate. Lui è vestito elegante, come se andassimo a un matrimonio, io troppo leggera come sempre. Le scarpe aperte di gennaio. Il cappottino. Un paio di jeans e un maglione. Ho i capelli lunghi, legati in una coda. Nessuna borsa. Non mi trucco. Non fumo. Mio padre guarda fuori dal finestrino, gli occhi all’orizzonte. Vede il mare e come quando ero piccola io o piccolo lui. Mi dice: “Ecco il mare”. Alzo gli occhi e vedo che sta piovendo. Acqua all’acqua penso.

    “Né il dolore dell’avversario mi colpisce: la giustizia proletaria ha la stessa forza produttiva dell’autovalorizzazione e la stessa facoltà di convinzione logica”. Toni Negri

Fa freddo. Mio padre stasera non dormirà a casa. Sono molti mesi che non dorme nel letto con mia madre. Dice che sono “I sabati delle Giuliette”. Ma non si lavora mica di notte, penso e non dico. Non so neanche dove dorma. Ogni tanto telefona. Di solito lo rivediamo il lunedì sera. Ma non è detto. Forse c’è qualcosa che non va con mia madre, ho troppi problemi col latino per occuparmi di loro e c’è già mio fratello da seguire. Ieri gli ho trovato una rivista pornografica nella cartella. Non so cosa fare, dovrei dirlo a mio padre.

    Magari domani.

“Non bisognerà, nei prossimi anni, nei prossimi mesi, temere di entrare nelle fabbriche, come reparti del lavoro produttivo sociale, per imporre agli operai di fabbrica, comperati illusi mistificati dalla pratica riformista, per imporre loro il riconoscimento della centralità del lavoro produttivo sociale. Essi ne fanno parte, non sono né sopra né sotto né a fianco: ci sono dentro essi stessi, devono riconoscerlo. Devono rientrare a far parte di quell’avanguardia del proletariato da cui riformismo ed eurocomunismo li hanno esclusi!” Toni Negri
E’ arrivata una telefonata.

    La donna dice “Ciao cara, sono un compagna di scuola di tuo papà puoi passarmelo per favore?”. Ho risposto: “No, papà non c’è”. Dice ancora: “Ma lavora all’Alfa tuo papà vero?”. “Sì all’Alfa” dico io. “Ma non sai quando torna?” chiede lei. “Verso le otto, anche più tardi” rispondo“Sempre alle otto?” richiede. “Non sempre”. “E al mattino, quando esce?”, si è fatta meccanica, vuole ottenere risposte che io non riesco a dare, o almeno non con la precisione necessaria, mi incalza. “Non so di preciso, alle sette e mezza”. “Tutti i giorni?” “Quasi sempre…”, “Dì a papà che ho chiamato, intesi?” “Va bene” chiudo e capisco che non conosco il suo nome. Nessun nome. Non me l’ha detto. Dico alla mamma. Lei mi fa ripetere tutto, quando torna, alle otto più o meno, lui ascolta poi mi guarda: “Se dovesse chiamare qualcuno tu non sai dove sono”.
“Ho capito che in questa società ci vuole ben più fegato a essere coerenti tutti i giorni con i propri ideali. E questo l’ho capito in fabbrica, negli anni difficili per noi comunisti, osservando certi compagni che in nome dei loro ideali mai si erano piegati alle prepotenze e alle angherie: avevano più coraggio loro attaccati a un tornio che io sulle grandi vette del Nepal”. Guido Rossa.

    Davanti a casa c’è un uomo biondo, con gli occhi azzurri come il ghiaccio. Da quando c’è lui non ci sono più spacciatori e non si trovano siringhe a terra. Periferia di Milano, case popolari a riscatto. Geometri, periti industriali, ragionieri. Figli di immigrati. Contadini. Artigiani. Uomini di fatica, ma con la rivincita sociale nei figli, che hanno studiato, che muovono le braccia ma anche la mente. Mio padre è uno di quelli.
L’uomo biondo ha una mitraglietta in vista. A tracolla.

    L’angelo dei padri, aspetta il mio tutte le mattine. Aspetta che esca dal portone, che sorrida, che entri in macchina, blindata. Poi sale sulla sua e lo segue. Questa mattina la macchina blindata, Alfetta duemila color panna non c’è. Mio padre se ne accorge guardando dalla finestra. E’ sicuro, era parcheggiata proprio davanti a casa. Non c’è più. L’hanno rubata. Prima dell’arrivo della mitraglietta. Stanotte. Le coscienze si lavano così. Con macchine blindate e mitragliette.

“Se qualcuno telefona e cerca di me, tu non sai dove sono”. Guido Rossa
(continua)

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