Non so perché mi venga in mente solo ora. E’ successo a metà gennaio. Ho cominciato a sentire Quadri da un’esposizione da molto lontano. Nel senso che da dove mi trovavo non se ne poteva evincere la provenienza.  Ma Quadri da un’esposizione sì. Da dove veniva lo sapevo. Dritta dalla mia infanzia. Dal cuore dei miei elettrici tredici anni, come una freccia luminosa e precisa nel silenzio dei miei quaranta.

    Avanzo piano e mi stupisco di sentire quest’emozione così, regalata dalla vita come fuori tempo e in uno spazio sbagliato, la Galleria tra Piazza Duomo e Piazza Scala, un luogo per me del tutto privo di suggestione come ogni altro luogo di Milano. Come se la vita si fosse dimenticata che me ne doveva un altro ascolto, come se l’avesse lasciato indietro dagli anni del Conservatorio e si fosse industriata per restituirmelo come poteva. Poi finalmente la vedo. La pianista.

    E’ una ragazza minuta, e le sue dita si muovono con fatica. Non sta suonando divinamente, le condizioni glie lo impediscono. Il freddo è siderale, sono i giorni più duri dell’inverno. Le sue mani hanno guanti neri con le dita tagliate alla falange. Le sue braccia non possono muoversi liberamente perché un cappotto le imbriglia in movimenti che sono solo l’ombra di quel che dovrebbero essere. Il freddo è padrone. Ed è padrona anche la fretta di andare ad aspettare un tram che aspetterà ai semafori che aspetteranno i vigili, perché stanno scendendo due gocce d’acqua quindi i semafori hanno i minuti contati.

     Però rimango colpito dall’immagine. C’è lei che soffre da contratto al piano, ma nei suoi occhi il contratto non c’è. Nei suoi occhi c’è lo sforzo immane di vincere il freddo, c’è Quadri da un’esposizione da restituire alla vita in questo socio-dramma travestito da città. E qui avviene il miracolo. In condizioni tali da rendere l’esecuzione ordinaria sostanzialmente impossibile, si realizza un’operazione del tutto sorprendente: che quel che non si può dire si può comunque evocare. Ecco cos’è: non sta eseguendo, sta evocando. Come ad un gruppo di sopravvissuti  in un’era postatomica, la ragazza ci ricorda com’era. Come doveva essere stato Quadri da un’esposizione quando il mondo era un luogo in cui si trovava la musica.

    Dove il presente è gelo, scatta la memoria. Quadri da un’esposizione quando la sentivo fluente misteriosa e piena di suggestioni molti anni fa, nelle aule del Conservatorio, con il sole di quelle primavere che entrava come una fucilata dai finestroni aperti. Mi giro e accanto a me – però seduto, con molto più coraggio di me – c’è un anziano. Molto anziano. Ascolta con gli occhi fissi lontano. I miei quarant’anni si difendono dai miei tredici e si domandano se l’anziano non sia per caso stincato sulla sedia dato che è immobile, ma il tredicenne si commuove e ribatte che il signore sta lì per un motivo più forte del freddo che sente. Un motivo che oggi non so ascoltare più.

    Devo andare. In ogni senso, mi viene da dire. Grazie alla pianista per questa visita nel mio passato. Per la sua esecuzione stentata e ferita. Mi ha riavvicinato a me stesso. Lei ha fatto già adesso quello che ancora devo riuscire a fare con il cinema. La fatica di dire può diventare la forza di evocare. Non ci avevo mai pensato.

     

     

0 risposte

  1. grazie per questi tue due ultimi Spunti. Mi piace molto quando guardi la realtà così e la narri, la traduci per noi.
    Ma una domanda,…(sai come sono io vero?)….. anche il Conservatorio di Milano è privo di suggestione?

  2. “la fatica di dire può diventare la forza di evocare”. E’ un’espressione molto felice e secondo me (giusto per riprendere al volo il discorso che facevamo l’altro giorno) sei -siamo?- ancora in tempo, almeno una volta, per evocare a qualcuno qualcosa e, per te stesso, a gustarti un’emozione consapevole di ciò.
    gigi

  3. Grazie a te Francesca, che contribuisci a questo traballante percorso. Il Conservatorio ? Milano ha fatto di tutto per chiudere l’orchestra del Conservatorio. Non è una battuta, è cronaca di questi mesi. E sindaco della città che ospita Conservatorio e Scala è una persona che ha tolto – nella sua celeberrima riforma – la musica dall’insegnamento della scuola media inferiore. Suggestivo, questo sì… gio.

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