Guido per la città e sento dal GR24 che è morto Eric Rohmer. Così, tra un semaforo e un incrocio se ne va un pezzetto del mio percorso. Erano gli anni ’80 e Rohmer per me era un riferimento. Non poteva che essere così, tra i 16 e i 20 anni circa, quando usciva un suo film era una vera febbre andarlo a vedere. Perché mostrava cose che mi riguardavano da vicino, e mi sembrava di potermici immergere. Perché rispetto a tutti gli altri lui sapeva non farmi sentire che era un film, mi trascinava nella storia e mi ci faceva abitare dentro.

Poi sono passati gli anni e con gli anni anche le scoperte di altri autori. Soprattutto di altri mondi e linguaggi. E Rohmer l’ho un po’ perso di vista. L’ultima volta che ne avevo discusso approfonditamente – anni fa – un giovane regista francese me lo liquidò con un semplice: Rohmer ? Fa i film con il materiale che gli altri tagliano in montaggio.  In quel momento non sapevo dire perché ma non ero d’accordo e mi limitai a dissentire.

Oggi forse qualcosa di più riesco ad articolare. Perché la mia pancia sentiva da subito quel che  la mia testa ancora non capiva: che il cinema è una relazione profonda, emozionante, elettrica. E’ un contatto, una vibrazione. Se questo è vero, quando guardiamo un film dobbiamo cercare di capire chi sono i personaggi secondo noi, ma anche chi siamo noi secondo il mondo della storia. Come si relaziona a noi il racconto. Cosa ci dice di sé ma anche cosa ci dice di noi.

Bene: che ci dice dei suoi personaggi Rohmer? Ci dice quasi sempre che sono persone vere. Persone vere significa persone come noi. Ma se i suoi personaggi sono come noi, noi siamo come loro. Ecco cosa ci dice Rohmer. E che significa essere come i suoi personaggi? Significa meritare di essere raccontati. E meritare di essere raccontati significa meritare di essere conosciuti. Bello sentirselo dire, eh?

Non occorrono grandi fatti nei suoi film. Le sue storie più che correre sostano con le persone, si fermano in ascolto delle loro parole. Quando uscì Le rayon vert facevo il liceo. Il mio professore di italiano mi vide così entusiasta del film che ci andò con sua moglie. La moglie – professoressa di ginnastica – ci si annoiò terribilmente e la coppia si guardò bene dal chiedermi altre dritte. Giusto così, è inevitabile che Rohmer possa annoiare e non piacere. Ed è comprensibile che una persona da un film non si aspetti di essere chiamato in causa ma solo di essere intrattenuto.

Però la questione mi è rimasta dentro. E anche se il mio professore di allora non sa nemmeno dove io sia finito e sua moglie probabilmente fa ancora flessioni e addominali, voglio ritentare, con quel film. Magari per due che si sono allontanati dal suo mondo, qualcun altro si potrebbe avvicinare. Per ora metto qui un breve frammento del suo cinema. Tra qualche giorno magari ci possiamo tornare su…

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