Arrivo con qualche minuto di anticipo e parcheggio davanti a un Blockbuster. Ormai sono delle rarità. Non resisto alla tentazione di farci un giro dentro, mi ricordo di quando per me erano un luogo di frequentazione abituale. Mi rendo conto di quanto le cose siano cambiate. I dvd in rapida diminuzione, i blu-ray in ascesa. Penso al grande equivoco che ci sta dietro, alla quantità di persone che hanno fatto la corsa a comprare il lettore blu ray senza avere un monitor in grado di restituirgliene la qualità. E quel che è peggio: senza averlo nemmeno capito.

Poi mi perdo un po’ nei titoli, ma mi rendo conto che la quantità di gadgets, snack, bibite e gelati è imprescindibile per Blockbuster. Non si noleggiano film: si noleggiano serate, mondi, modi di divertirsi. Poi vado nel cestone che preferisco e che grazie al cielo non muore mai: quello dei dvd reietti, che non vuole nessuno, quelli senza mercato. E spulcio. I prezzi urlano ti prego portami via. Allora mi metto a ravanare nel disordine: lo faccio con un atteggiamento un po’ snob, confesso, nel senso che sono convinto che in quei cestoni si trovino spesso film molto belli che la gente non vuole vedere.

In uno di quei cestoni trovai, ad esempio, La vita segreta delle parole, che poi ho amato moltissimo. E d’improvviso salta fuori:  Rachel sta per sposarsi, l’ultimo film di Jonathan Demme. Non ci penso due volte, è un anno che lo voglio vedere e non riesco a trovarlo. Il destino mi ha parcheggiato davanti a Blockbuster con qualche minuto di anticipo sul mio impegno. Lo prendo senza nemmeno pensarci ed esco a metterlo in macchina, come un bambino con il giochino nuovo.

Poi, la serata in enoteca. Parliamo di vino, parliamo un po’ di cinema.  Con Luca è tutto un sentire e tutta una suggestione: se lui dice che si sente odore di nocciola in un vino bianco il minuto dopo sarei pronto a giurarlo anche io. In particolare mi colpisce la sua raccomandazione: non bisogna mai stancarsi le dita. Le dita servono a continuare a ruotare il calice di bianco. Aprirlo, come dice lui, far salire l’alcool che è il treno che porta i sapori.

Esco, è mezzanotte e mezza e fa un freddo cattivo. Me ne vado verso la macchina. La trovo con la portiera aperta, il finestrino infranto, tutto sottosopra. Mentre capisco la situazione giro lentamente dietro per richiudere la portiera che hanno lasciato aperta. E mentre giro penso: chissà se mi hanno preso il film. Rachel sta per sposarsi. Il  mio affare da Blockbuster. La perla salvata dal cestone discarica. E alla fine lo vedo, ancora lì. Il visitatore non era un cinéphile e il mio film è salvo. Mi piacerebbe fare due chiacchiere con lui su un film precedente di Jonathan Demme, il cui tema profondo è può il bene contenere il male? Può il bene convivere con il male? Nel frattempo il vento entra dal vetro rotto, il ritorno a casa è – diciamo – suggestivo.

Nel cinema, nel vino, nelle auto che frughiamo di nascosto, troviamo quello che cerchiamo. Senso, emozione, qualche soldo. E mi chiedo cos’è che non trovo io, cos’è che non vedo allo stesso modo dello scassinatore con il film. Che cosa c’è di prezioso che non so rubare. E così per tutto il resto, non c’è molta differenza tra me e lo scassinatore. Cose che perdo ogni giorno avendole in fianco. Piccole e grandi meraviglie.  Mi ritrovo a pensare che sono arrabbiato per il vetro. Pensando a chi l’ha rotto invece  mi dispiace – come per me – per tutto quello che non sappiamo rubare.

0 risposte

  1. Qualcuno mi ha rubato un angolo. Più precisamente era l’angolo destro del mio viso. Lo so, sembra impossibile. Eppure giuro che è così. C’era, era stato messo al posto giusto, era lì, poi… rubato. È successo di notte, come ogni buon furto che si rispetti. È successo tra tanti altri angoli di case, cose, occhi e bocche, strade. È successo. Mi viene l’ansia solo a pensarci.
    È stato gioco forza cominciare a cercarlo. È un angolo mio, di me, della mia faccia: è giusto e normale che io lo cerchi. Guardo ovunque. Cerco ovunque. Sono certa che potrei trovarlo. Sono certa che lo troverò, prima o poi.
    Ora so perché la gente mette le tende alle finestre. Lo fa per nascondere i suoi angoli.

  2. – Mi spiace davvero per il vetro, non era mia intenzione. Ma quei pochi spiccioli servivano davvero. Non fanno carità reale in questa grigia città. So che è un luogo comune dipingere di grigio questo agglomerato urbano. Ma è il colore che mi mostra. Il gelido grigio della carità spiccia. Avevo deciso di non farlo più, lo giuro. Però lo stomaco langue ogni tanto. Campo a sigarette offerte, a sguardi distratti, a cestini svuotati. Campo ad invisibilità. Un detto recita l’importanza di insegnare a pescare al bisognoso, così da sfamarlo a vita piuttosto che dargli il pesce e sfamarlo un giorno. A me manca la canna da pesca, l’esca e persino il mare. Per quanto mi si possa insegnare i rudimenti di questa disciplina, non posso praticarla. Non riesco. Mi perdoni ancora per il gesto poco nobile. Purtroppo i morsi della fame sono più efficaci dei ri-morsi.

    ps. Non le ho preso il dvd non tanto perché non posseggo (ovviamente) un lettore dvd, ma per il semplice fatto che Demme gioca fin troppo su sentimenti assopiti. Quando una bomba esplode…esplode. Non lascia indifferenti. La scena del piatto. Magistrale. Ma una vera delusione non leggere negli occhi della famiglia il giorno dopo quei sentimenti che li hanno portati a fermare un’intera cucina brulicante di starnazzanti invitati. Certo, bisogna andare avanti. Ma non si ha mai lo stesso sguardo negli occhi. Purtroppo non è stato così.

    pps. Stasera hanno dato in TV ‘La guerra dei mondi’. Ne ho visto un pezzettino da una vetrina di un ristorante cinese. E proprio un film girato con una mano in tasca e del gin nell’altra.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *