Più di un amico si è riconosciuto nelle parole di Nancy Kress sulla paura. E allora spezzo una lancia anche per il nostro attendere di essere davvero pronti a scrivere.

    “Ma ahimè, con i versi si fa poco quando li si scrive troppo presto. Bisognerebbe saper attendere, raccogliere, per una vita intera possibilmente lunga, senso e dolcezza, e poi, proprio alla fine, si potrebbero forse scrivere dieci righe valide. Perché i versi non sono, come crede la gente, sentimenti (che si acquistano precocemente) sono esperienze.

    Per scrivere un verso bisogna vedere molte città, uomini e cose, bisogna conoscere gli animali, bisogna capire il volo degli uccelli e comprendere il gesto con cui i piccoli fiori si aprono al mattino. Bisogna saper ripensare a itinerari in regioni sconosciute, a incontri inaspettati e congedi previsti da tempo, a giorni dell’infanzia ancora indecifrati, ai genitori che eravamo costretti a ferire quando portavano una gioia e non la comprendevamo (era una gioia per qualcun altro), a malattie infantili che cominciavano in modo così strano con tante profonde e grevi trasformazioni, a giorni in stanze silenziose e raccolte e a mattine sul mare, al mare soprattutto, a mari, a notti di viaggio che passavano con un alto fruscio e volavano insieme alle stelle – e ancora non è sufficiente poter pensare a tutto questo.

    Bisogna avere ricordi di molte notti d’amore, nessuna uguale all’altra, di grida di partorienti e di lievi, bianche puerpere addormentate che si rimarginano.  Ma bisogna anche essere stati accanto ad agonizzanti, bisogna esser rimasti seduti vicino ai morti nella stanza con la finestra aperta e i rumori intermittenti. E non basta ancora avere dei ricordi. Bisogna saperli dimenticare, quando sono troppi, e avere la grande pazienza di attendere che ritornino. Perché i ricordi in sé ancora non sono.

     Solo quando diventano sangue in noi, sguardo e gesto, anonimi e non più distinguibili da noi stessi, soltanto allora può accadere che in un momento eccezionale si levi dal loro centro e sgorghi la prima parola di un verso.”

 

Rainer Maria Rilke, “I quaderni di Malte L. Brigge” 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *