“Ma Atalanta non era finita in un nido di aquilotti affamati. Quando l’aquila si era calata a ghermire la preda, attratta dal colore vivo della coperta, la cesta era già vuota. Un’orsa, prima dell’alba, era uscita in cerca di cibo per i suoi piccoli. Trovò la bimba addormentata, la raccolse tenendo le fasce tra i denti e la portò nella sua caverna. Questo è quello che raccontano gli antichi ed essi dovevano ben sapere come andarono le cose.

    Una folta pelliccia bruna l’aveva riscaldata quando aveva freddo. Aveva lottato per gioco con gli orsacchiotti, rotolandosi tra l’erba e le foglie. Aveva imparato con loro ad acquattarsi per sfuggire ai cacciatori, a riconoscere gli animali amici, a schivare le fiere nemiche. (…)

     Un giorno mentre scherzava con una lepre e l’acchiappava con le mani per metterle paura, udì il sibilo di una freccia e si gettò faccia a terra, immobile. Strano. I cacciatori non l’avevano mai colta di sorpresa, prima d’allora. (…) Una carezza le sfiorò dolcemente i capelli che le scendevano in disordine sulle spalle, ma non era la goffa e affettuosa zampa di mamma orsa. Questo fu l’incontro di Atalanta con Diana, dea della caccia e signora dei boschi. La fanciulla alzò gli occhi e quello che vide decise della sua vita.

    Vide una giovinetta vestita come un ragazzo, con la tunica corta al ginocchio. Anche i suoi capelli erano corti, un cespuglio selvaggio con cui il vento giocava liberamente. (…) Ma soprattutto, Atalanta vide l’arco che Diana reggeva in una mano, le frecce infilate nella faretra che portava sulla spalla seminuda.

    Vieni – disse Diana – farò di te una cacciatrice. Non c’era già più bisogno di dirlo. Voglio diventare come lei, aveva giurato Atalanta a se stessa. E senza nemmeno salutare l’orsa che le aveva fatto da madre seguì la dea.”

Qualche giorno per riflettere sul questo secondo beat…

 

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