Ci piace da subito quest’Atalanta. Come ci piacciono gli eroi che partono in difficoltà. Doppiamente orfana: di natura – la madre che scompare probabilmente morta – e di cultura – il padre che la rifiuta. Una partenza così è solida, ci schiera con chiarezza e con forza. Mette i nostri occhi subito all’interno di quelli di Atalanta. E ci lascia con una sola domanda: come sopravvivere.  Si sopravvive a qualcosa di tremendo sperando in un futuro che magari non si vede nemmeno. E’ lotta pura, puro presente.

    Atalanta non viene rifiutata per qualcosa che ha fatto ma per quello che è. L’aberrazione è in lei. Non ha commesso errori, è l’errore. Ma la cosa che mi colpisce di più e prima di ogni altra in questa scena d’apertura, è che il protagonista è il re Jaso. In una storia che si intitola Atalanta la prima scena vede protagonista un altro. Ed è importante che sia così. Perché il percorso di Atalanta sarà  proprio quello di cercare di diventare protagonista della propria vita, e dato che noi desideriamo inevitabilmente ciò che non abbiamo, è naturale che la sua vita cominci dalla parte opposta: essere buttata fuori, rigettata dal proprio destino.

    Il protagonista è sempre quello da cui provengono le azioni determinanti, Atalanta è neonata  e quindi la protagonista della prima scena non può essere lei. In quest’esordio Atalanta subisce e basta.  Protagonista assoluto è Jaso. Che dice una cosa fondamentale quando viene a sapere che si tratta di una femmina: Non voglio vederla. E certo che non la vuole vedere. Mi risuona molto questa battuta. Somiglia a tutte le volte che mi trovo di fronte ad una novità che mi spiazza.

    Un bambino che nasce rappresenta l’inedito, la sorpresa, solo che oltre a rappresentare il nuovo ridefinisce in modo nuovo tutto ciò che esiste. Jaso stesso, per esempio, verrebbe ridefinito come padre di femmina. E quest’immagine di sé lo stomaca e lo disorienta. Non vuole vedere. Non la bambina: non vuole vedere se stesso padre di una bambina. Perché lo sguardo di Jaso è puntato solo su se stesso. E’ bellissimo il dialogo di Rodari in questa prima scena, perché il re parla di sé soltanto. Non c’è spazio per lei, Atalanta nasce chiusa in un angolo e sbattuta fuori, in una recondita e sperduta provincia dell’ego di Jaso. 

     L’elemento drammatico della scena è quindi il rifiuto di un’altra identità, di una nuova possibilità di essere nel mondo da parte di Jaso. E’ Jaso che rinuncia a un nuovo se stesso. E’ la tragedia di un uomo che rifiuta il cambiamento per… pregiudizio. Parola intensa e usata troppo facilmente, questa. Pre-giudizio è quando giudichiamo prima di conoscere davvero. Senz’altro si adatta bene a questa situazione, ma pregiudizio per me è anche quando facciamo precedere il giudizio di altri al nostro e lo sposiamo a priori.

    Tutta la Grecia avrebbe riso di Jaso, tutta la Grecia giudica di sua figlia prima di lui e al posto suo. Non c’era popolo – per quanto piccolo – che non avesse un re o un sovrano, e quindi un re con un figlio maschio. L’idea di quello che gli altri – nostri specchi – avrebbero detto di lui lo terrorizza. E’ quello che ci succede ogni volta che essere noi stessi ci porrebbe in conflitto con il mondo di cui facciamo parte. Quante volte si ha davvero il coraggio di contraddire la scatola che contiene ? Spesso si preferisce confermare e avallare un mondo che non piace piuttosto che affrontare il rischio e la fatica di una guerra. 

    Avere un’opinione propria, difendere un amore, lottare per un valore. Sono prese di posizione, identità, assunzioni di responsabilità. Significa essere padri di un pensiero, di un’idea, di una configurazione interiore del mondo. Jaso non è pronto per questo. E si appoggia al pre-giudizio già servito condito e condiviso di tutto il resto del mondo.

    Poi c’è la madre. Conosce il suo uomo, ma conosce soprattutto il suo ruolo. Non può che piangere. Atalanta lasciata in un bosco la convoca fortemente a una presa di posizione. E lei decide di sparire. Non combatte, non gioca la sua vita su questo. Niente. Scompare e nemmeno la storia si occupa più di lei. Nel vedere questa coperta rossa presa negli artigli dell’aquila, la madre di Atalanta capisce che Atalanta è morta. Non perché l’aquila ne possa aver fatto cibo per i suoi aquilotti, ma perché il re Jaso ha deciso così. E’ morta perché una cultura la vuole morta, e anche se fosse miracolosamente sopravvissuta sarebbe morta al rapporto con lei, con  sua madre. Non sono le aquile a uccidere le relazioni, e non è nemmeno la morte. Siamo solo noi quando siamo in scacco della paura.

    Padre e madre sono dunque molto simili. Prospetticamente centrati su se stessi, incapaci di accogliere una novità che li avrebbe ridefiniti in modo nuovo. Ultima nota che mi colpisce: le rivoluzioni interiori cominciano quasi sempre dall’accettare un punto di fragilità, di debolezza in noi.  Atalanta è ciò che è fragile, una neonata da difendere contro la natura e contro la cultura. Ogni volta che non accettiamo questo punto di fragilità e non lo aiutiamo a crescere, condanniamo il bambino che è in noi – e che ci potrebbe ridefinire – a morire in mezzo a un bosco. Condanniamo noi stessi a non crescere.

    Ecco quindi gli elementi portanti di questo esordio narrativo. Una bambina viene al mondo, ma il fatto è per noi una lontana eco: centrale sarà il modo di viverla di Jaso, paragonabile ad un attacco di un potente esercito nemico. La difesa del regno, dell’identità, la negazione della fragilità, la sospensione di ogni affetto. La convulsione. Le contrazioni del parto e quelle del vomito. Atalanta è nata.

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  1. Ispirazione… e commento… abbiate pazienza con me…

    Non ho dolore.
    Il volto di mio padre lo vedo come pietra che diventa argilla.
    Molle, cambia fattezze.
    Gli occhi sono vuoti, senza luce,
    senza alcuna aspirazione se non quella di essere il re del suo regno.
    E il suo regno è un pugno chiuso.
    Mia madre è una pozzanghera d’acqua scura.
    Nulla sul fondo se non semplice terra.
    Si lascia asciugare dal sole del suo unico giorno.
    Poche ore per dare un senso di sé
    e nessun senso da dare.
    Io
    se vengo da loro
    se pure provengo da loro
    sono altro.
    Il latte che mi ha nutrita
    ha fatto di me quello che sono.
    Il bosco che mi ha custodita
    ha fatto di me quello che sono.
    Il mio cuore che batte
    ha un suono diverso dal loro
    o meglio
    ha un suono
    non bisbiglia, né geme, né grida parole prive di senso.
    Io sono Atalanta
    Regina di me
    L’eredità dei miei genitori
    datela ai cani.

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