Giorgio ha 53 anni. La mattina si guarda allo specchio e intanto si aggiusta il nodo della cravatta con la precisione veloce dei gesti a memoria. E si piace. Un po’ sovrappeso però dai, un bell’uomo. Ancora abbastanza giovane e con una carriera perfettamente riuscita. Manager di una multinazionale alimentare, di proprietà di un’altra multinazionale con la quale mette in scena una finta concorrenza. Una vita sempre in giro per stare lontano con eleganza dal vuoto di casa.

    Ora però c’è Sofia. Con il piccolo Luca. Più che un incontro una magia. Dopo oltre dieci anni passati con la quasi anoressica Claudia a sperare l’arrivo di un figlio, dopo gli esami, le crisi, le speranze e gli sconforti. Alla fine era evaporato tutto, nessuna traccia di quello che erano stati e che avrebbero voluto essere Giorgio e Claudia. Una sera di ritorno dal cinema Claudia non si decideva a scendere dalla macchina e Giorgio fece il giro per aprirle la portiera da fuori. Ma lei abbassò il finestrino per dirgli che aspettava un figlio da un altro.

     Qualche anno di amiche veloci e di vuoto, poi era apparsa Sofia. Separata, con il piccolo Luca in braccio, lì in coda davanti a lui, alla Posta. Giorgio ride spesso di quell’incontro: lui manager di destra che si ritrova a dover ringraziare le inadempienze dello Stato per la sua felicità. Così, adesso, anche lui avrebbe avuto un figlio. La vita glie lo stava offrendo con l’amore in un solo treno.

    Adesso Luca ha 10 anni, una frangetta bionda luminosa come un campo di grano. E stamattina ha la febbre. Sofia gli sta accanto e come sempre in queste occasioni delega a Giorgio le mansioni più concrete e più spicce. C’è una corsia preferenziale tra madre e figlio nella quale lui non può e non riesce ad entrare. “Mettimi questa a lavare per favore, mi è caduta”. Giorgio prende la calza di Luca e va per metterla nel cesto della roba sporca. Ma intanto che ci va di nuovo la voce di Sofia lo raggiunge: “Ricordati il vetro e la carta”.

    Giorgio si ferma e prende i due sacchi. “Allora ciao”. Sofia non risponde, è china sulla fronte sudata di Luca. In ascensore, Giorgio ha tempo per sentire che Luca non è suo figlio e non lo diventerà mai. Che a Claudia e a Sofia sì, ma a lui no, la vita un figlio non glie l’aveva dato. Tanto valeva dirselo.

    Apre il cassonetto del vetro e scarica le bottiglie. E’ il turno della carta. E’ allora che si rende conto di avere ancora la calza tra le dita. La calza di quel bambino che lo chiama solo “Giorgio”. E’ un lampo. Butta con una stizza tranquilla anche i due sacchetti di plastica nel cassonetto della carta, e ci lascia cadere sopra anche la calza. Lascia ricadere il coperchio come fosse una pietra su uno scarafaggio, e si avvia. Fruga con le mani finalmente libere nelle tasche del suo giubbotto. Cerca le chiavi dell’Audi.

    E’ così che l’ho trovata stamattina, la calza. Sopra due sacchetti di plastica nel raccoglitore della carta. Non ho idea di chi ce l’abbia messa né tantomeno del perché. Ma in qualche modo deve pur esserci arrivata e quella di Giorgio è soltanto una possibilità.

    Le storie sono nei dettagli incongruenti. Capiamo il tempo che farà dalle nuvole, non dal cielo sereno. C’è un sacco di verità nelle cose fuori posto, nei fastidi, nelle contraddizioni. Calze nei cassonetti della carta. Non mi sarebbe venuto in mente. Mai.

     

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