Mi capitano questi interventi e mi sembra interessante condividerli su questo blog. 

    “Credo che in Italia ci sia un provincialismo di fondo, un problema di identità culturale degli italiani. Da almeno venti, trent’anni, cioè dal grande cambiamento degli anni ’60 e ’70, noi non abbiamo più avuto una cultura vera e propria, siamo una specie di paese colonizzato da tendenze e mode estere, non abbiamo idee interne su quello che è importante rappresentare della nostra vita. Quindi ce ne accorgiamo quando sono altri a farcelo notare ed è stato così per Nuovo cinema paradiso (It. – Fr. 1988, Giuseppe Tornatore), che prima di vincere l’Oscar in Italia era stato completamente snobbato, e Mediterraneo (It. 1991, Gabriele Salvatores) che ha avuto la stessa storia.
In Italia si aspetta sempre un professore che spieghi bene la lezione.

    Mi colpisce molto il fatto che negli ultimi anni tutti accorrono a vedere le mostre, mostre che poi diventano veri e propri eventi. È sicuramente una cosa positiva, ma dubito di quello che resta dopo la visita. La sensazione che ho è che la tendenza generale sia quella di consumare un evento culturale, per cui si va, si compra il catalogo e si torna a casa, ma senza un’elaborazione culturale reale di quello che si è visto.” Davide Ferrario.

 

    “…A furia di spernacchiare i film da festival, considerati noiosi e respingenti, e di predicare una fantomatica via nazionale alla spettacolarità americana, ci troviamo tagliati fuori del tutto: sconfitti nel confronto con Hollywood ma anche cancellati dal territorio del cinema d’autore”. Ed ancora: “…Ai film, soprattutto quelli d’autore, bisogna crederci. Sostenere i loro registi (anche con critiche negative quando lo meritano, ma non con battutine sarcastiche o facili luoghi comuni) e favorire la loro circolazione e conoscenza”. Paolo Mereghetti

 

    “A scanso di equivoci, il primo pezzo di carbone va a quei giornalisti e critici che a ogni giro di boa festivaliero decretano la morte e la rinascita del cinema italiano. A Venezia era morto con i film di Franchi, Porporati e Marra, dopo poco più di un mese era risorto a Roma grazie a Soldini e Mazzacurati. Né vivo né morto il cinema italiano è quello che è: ora sbagliato, ora riuscito”. Dario Zonta.

 

    “Credo che la colpa del provincialismo attuale del cinema italiano vada ricercata nella società italiana che si vuole supermoderna ma che è ancora molto ancorata al locale. Anche i registi italiani che amo di più sembrano poco curiosi di quello che accade nel cinema internazionale. Sarebbe utile ed importante poter fare vedere quello che avviene nel resto del mondo. Anche per me che sono affamato di opere nuove.

    Tutto ciò senza volere bandire quel bell’odore di soffritto che c’è nel cinema italiano che non va perduto, ma che non deve diventare un peso ed un freno. Io vengo da una generazione di cineasti abituati a concatenare il cinema che amavano a quello del passato. I miei amici ed io quando amavamo un film contemporaneo immediatamente ne trovavamo dentro la genealogia: un po’ di Renoir, un pò di Mitsogushi, un pò di Ophuls, oppure un pò di Bresson, un pò di Ozu e così via.

C’era sempre il rivedere tutta la storia del cinema, vertignosamente, in un attimo. In questi nuovi cineasti che mi piacciono e mi interessano c’è la rottura del cordone ombelicale col cinema del passato. Questa cosa tremenda che è la perdita di memoria che ci fa molta impressione nei giovani di questo momento, l’amnesia totale del passato, d’altra parte ha portato ad una cinematografia che non nasce dalla conoscenza del cinema, come nel mio caso.

    I giovani registi nuotano nel presente come noi non abbiamo mai saputo fare proprio perché non hanno più la memoria del passato. Se saranno renoiriani, mitsogushiani , fordiani o ophulsiani, lo saranno non per discendenza acquisita, ma per il magico ripetersi in loro anche di ispirazioni che si sono vedute in quei registi. Questa è una cosa straordinaria, perché porta una ventata di novità e di freschezza che oggi si ritrova in certo cinema americano indipendente, o in quello di Honk Kong, o di Taiwan o in certi registi africani .

    Il cinema si rinnova veramente perché viene reinventato. Non è più uno strascicarsi successivo di esperienze che sono derivate da altri. È un momento straordinario e io mi sento privilegiato per avere la possibilità di avere vissuto nel passato l’esperienza del cinema di avanguardia e oggi questa sua mutazione fisiologica.” Bernardo Bertolucci.

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  1. Si Si tante belle parole, però, solo per citare un esempio, quando è uscito “La vita è bella” non c’è stato uno di questi “addetti ai lavori” che abbia avuto il coraggio di dire, in quel periodo di inspiegabile euforia, che è un film decisamente mediocre e tutti quei riconoscimenti che stava avendo erano assolutamente ingiustificati e ben oltre i meriti di quel film. Uno solo, pubblicamente, l’ha fatto; un filosofo: Alfonso Berardinelli sulle pagine del Corriere della Sera (per chi volesse, si può ancora leggere il suo articolo sul sito nella sezione Archivio). Una critica non feroce, nè con toni esasperati o altro, ma secondo me giustissima. Ricordo che in quell’anno, anche io nel mio piccolo commentavo criticamente quel film con i colleghi dell’ufficio, gli amici…anche perchè lo mettevo in raffronto con “Il mostro”, il precedente film, notando da subito il declino di quest’autore. Risultato: trattato come se fossi un lebbroso, emarginato, e additato come mero contestatore infarcito di pregiudizi (ancora quella psicosi collettiva non me la so spiegare). Quindi, siamo sicuri che è solo colpa della “società”? O non è più vero che la “società” siamo comunque noi, ognuno con un suo cervello e che forse la cosa che si è persa è semplicemente il coraggio di usarlo?
    gigi

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