
Era da tempo che volevo parlare di lui. Perché è un carissimo amico e perché gli devo una quantità di viaggi, di storie, di persone, di emozioni che non so più contare. Max è un attore di Napoli che per qualche anno ha lavorato a Milano in una Compagnia di Teatro ragazzi meravigliosa che oggi non esiste più. Ci siamo conosciuti perché banalmente giravo i backstage di quel gruppo e i video dei loro spettacoli che restano per me indimenticabili. Inoltre alcune cose nella vita capitano nei momenti più giusti: Samuele aveva l’età per fruire in pieno di quel tipo di intrattenimento. Max resterà per sempre dentro di lui la voce della domenica mattina. Alla Feltrinelli di Corso Buenos Aires, una volta ogni 15 giorni circa. Si andava, a volte con Giada a volte noi due da soli. Per noi era dall’altra parte della città, ma la domenica mattina in auto si faceva in fretta comunque. Però quella volta che c’era il blocco delle auto… quella volta Samuele ci volle andare con i mezzi, in pieno inverno, perché per lui era un incontro magico.
Max si sedeva nel seminterrato e tutti i bambini gli stavano attorno. Prima di cominciare chiedeva loro di chiudere per un momento gli occhi e di lasciare fuori la litigata con la mamma, la sgridata del papà, la fretta del vestirsi, il fare colazione e l’uscire in macchina… fuori tutto. Perché ora era il momento di entrare nel mondo della storia che stava per incominciare… Mi piaceva questa premessa. Prendere contatto con una storia significa prendere contatto con se stessi. Guardarsi dentro. Penso che io per spiegarlo parlo agli allievi di Jerome Bruner e della costruzione del sé e dell’identità attraverso la narrazione. E penso che Max, che adesso fa la stessa cosa alla Feltrinelli di Napoli, lo spiegava in un minuto a gente molto più giovane e senza lavagne. E soprattutto glie lo faceva vivere.
La seconda cosa che faceva era spiegare perché avesse scelto quella storia e dire perché lo aveva colpito tantissimo. E così, con un sorriso, ci faceva capire che chi racconta tesse una relazione fra sé e chi gli sta di fronte, fra sé e la storia, fra sé e sé. E che se lo fa, significa che ritiene importanti tutti e tre i poli di questa relazione. Assegna valore a ognuno e ad ogni parola. Se non fosse un verbo fastidioso perché abusato in ogni direzione, bisognerebbe dire: ama.
Poi quel tempo è finito. Max è partito e ora lavora a Napoli in una Compagnia che si chiama Le Nuvole e che non ho mai avuto la fortuna di conoscere. Un giorno, ha aperto un blog. Lo voglio segnalare e linkare perché per me è una gioia scorrerlo. Ci si possono trovare racconti, monologhi, spunti personali. Non scrive moltissimo ma quello che ci indica a livello di libri da leggere o di riflessione in generale, è sempre specifico e prezioso.
E’ attraverso Max che sono capitato ad Avellino. Non so più quante notti abbiamo dormito nella sede della Scuola di Vernicefresca. E quasi non ci siamo mai incontrati. Quando lui si svegliava ero già uscito da una mezz’ora. Per me si trattava di arginare la luce del mattino che arrivava fortissima dalle finestre, per cui chiudevo porte, mettevo mascherine sugli occhi e mi trinceravo come potevo. Per lui si trattava di dormire in sala danza: finestre senza nemmeno una tenda affacciate su due lati. Sole pieno dalle primissime ore del mattino. E lui dormiva. Quanto abbiamo riso sulla differenza di serenità?
Poi, ci sono anche le ferite. Quelle che la vita porta sempre con sé. Alcune sono molto dolorose, alcune sanguinano sempre. Credo sia destino comune agli uomini vivi. Però quando pensi a lui, lo pensi sempre con il sorriso. Chi non vive a Napoli non avrà facilità nell’andare a vedere Max recitare. Però se vi capita… è una delle occasioni in cui in scena si può vedere una persona che si dà veramente al testo e a noi e così facendo si prende tutto il meglio. Uno capace di sognare anche sotto il sole brillante del mattino.
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