Apro internet e arrivo direttamente sul sito dell’ansa, settato da me come pagina d’apertura. C’è Josef Fritzl  a volto scoperto, circondato da dieci poliziotti che lo proteggono dai fotografi. Qualche giorno fa era apparso seminascosto. Gli zoom si erano prodigati per trovare la linea tra il suo viso e l’interno della cartelletta che lo nascondeva, ed erano riusciti a cogliere qualcosa. Mano ferma, occhio preciso. Ora – di sua sponte – appare senza alcuna copertura in volto, gli occhi bassi. E naturalmente il mostro mostra una faccia assolutamente normale.

    Ci sono due cose che mi colpiscono. La prima è il suo cambio di atteggiamento. Il suo smettere di mascherarsi, di nascondersi. Perché è un movimento interiore, un cambiamento, e di solito il cattivo non lo immaginiamo capace di cambiare, non ce lo vediamo proprio avvezzo a riflessioni e ripensamenti. Mi sono chiesto cosa avrà pensato. Cosa si sarà detto di quelle immagini deprimenti che frugavano negli spiragli per cogliere il suo volto. Cosa avrà pensato di tutta quella voglia di vederlo in faccia ? Me lo chiedo perché è sempre una sfida per i narratori provare ad assumere un punto di vista socialmente non condiviso da nessuno, almeno non in modo evidente e scoperto.

    La seconda cosa che mi colpisce è il cordone umano che gli sta intorno. Ce ne vogliono dieci. Che in parte lo contengono e in parte lo proteggono, pareti umane di quell’antico labirinto di Creta che è sempre lo stesso e che erigiamo intorno alle zone più cupe e insondate di noi.  Un moderno Minotauro che si muove nei corridoi del tribunale. Polivalente, ambiguo questo muro umano. Non si capisce bene quale sia la ragione precisa per cui lo abbiamo eretto. Quella giuridica è del tutto evidente. Ma quella simbolica mi sembra alquanto intricata. I poliziotti sono dei nostri, e fanno da zona di decontaminazione. La divisa gli impedisce di essere infettati, la divisa è l’istituzione, è la forza dello stato e della nostra normatività. I poliziotti sono uomini come noi ma hanno una divisa che li fa diventare ciò che rappresentano. Sono noi più l’argine della legge e della forza.

    Torno a chiedermi il vero significato di assumere un punto di vista così difficile. Perché quel che fanno le fonti d’opinione più moderate in merito – il perdono, la comprensione, la compassione, la pietà – e quel che invece fanno i più  – la rabbia, la certezza della pena, i vari ‘vorrei vedere se fossero stati figli tuoi’ eccetera – sono accomunate da un fatto: rimanere distanti e distinte da lui. Perdonare o condannare significano sempre rimanere distinti. Non è questo che fa un narratore. Si tratta di cambiare inquadratura.

    E’ da lì che mi è nata la domanda. Dall’inquadratura rubata del suo volto. Non è difficile vedere la faccia del mostro, basta uno zoom. E’ molto difficile, invece, vedere il mondo con gli occhi del mostro. Improvvisamente avere davanti le pagine sfuocate della cartelletta, la penombra. E soprattutto non si tratta di affrontare il delitto e di perdonarlo o condannarlo. Si tratta – se si vuole assumere il punto di vista di un altro – di riuscire a configurarsi un mondo nel quale quei delitti siano fisiologici con la vita. Nel quale quegli atti siano la migliore delle possibilità di sopravvivenza.

    Ecco cos’è che è difficile. Non tanto il farsi un giudizio. Il giudizio è quel cordone umano che ci separa dal problema. Ma entrare nel mondo in cui quei delitti siano accettabili, sentire tutto che gira in modo da indicare in quelle attività una risorsa buona. Smettere di guardare lui, cambiare inquadratura e cominciare a guardare con i suoi occhi. Né condanna né perdono per chi racconta storie. Nei personaggi si entra e basta. Né giusto né sbagliato, perché giusto o sbagliato sono sempre tali rispetto a te: solo vero o falso, solo vivo o morto. Destabilizzante, pericoloso. E me lo chiedo: fino a che punto ho il coraggio di abbandonarmi allo sguardo di un altro?

0 risposte

  1. Vedere il mondo con gli occhi del mostro? Credo sia impossibile, ma non perché è “il mostro”, semplicemente perché è un’altra persona. E’ difficile, credo impossibile, vedere il mondo con gli occhi di un’altra persona. Possiamo essere vicini, simili, gemelli, ma non siamo uguali. Possiamo fare supposizioni, immaginare, ma saremo sempre condizionati dal nostro modo di vedere le cose, che non è lo stesso modo del mostro, né è lo stesso modo di vedere le cose che hanno gli “altri” da noi. Non so se vale la pena cercare di mettersi al suo posto, però ci provo, naturalmente guardando con i miei occhi, e quindi credo sbagliando. Il “mostro” ha fatto un primo errore, dovuto ad una psiche e ad una sessualità malata. Poi ha dovuto nasconderne le conseguenze, perché tra la sua realtà vera e la sua apparenza di persona per bene c’era un divario insuperabile. Poi ha continuato così, trovando un modus vivendi nel dualismo che si era creato in lui. Se è vero che è crollato, è crollato perché non aveva più da difendere una doppia vita, quella apparente e quella vera. Ormai tutto era confluito nella vita apparente, meglio recuperare l’unità della persona, meglio tornare ad essere uno, pur col peso dell’ammissione delle sue colpe, tutte, anche quelle che avrebbe potuto continuare a negare. Forse varrebbe la pena di riflettere a quante volte tutti siamo due, o anche più di due, e quanto guadagneremmo in dignità se ad ogni errore recuperassimo la nostra unità ammettendolo, confessandolo, dicendo agli altri e a noi stessi che siamo questo insieme, di bene e di male.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *