Tutto sommato non mi dispiacciono, per quanto mi senta decisamente più gatto. Arrivo con Samuele sotto il sole cocente della domenica di fine giugno. Il nuovo canile municipale. A stretto contatto con il centro di via Corelli. E dopo che l’ho visitato – il canile – posso ipotizzare che i reclusi quadrupedi siano molto più fortunati dei colleghi bipedi. Perché in effetti è un posto pieno di passione. Ci sono volontari, dipendenti, persone che come noi passeggiano per fare una cosa diversa dal solito o per meditare l’adozione di un cucciolo. E c’è spazio, prato, ordine. In un posto che se non curi fa presto – immagino – a diventare un inferno.

Sono rimasto colpito da molte cose. La prima è l’umanità della disperazione con la quale i cani accorrono alla rete e ti chiamano. Non è tanto ambigua la cosa, direi che è proprio chiarissima: prendi me prendi me. E gli umani di fronte discutono sull’uno e sull’altro in una situazione che ha del surreale. La signora in bermuda rossi e maglietta bianca è in compagnia del marito e del figlio. Non ne vuole sapere ma non lo vuole nemmeno dire. Quindi sceglie me come valvola di scarico.

Che poi, Milano non è una città per cani, non c’è niente da fare.

Non casca benissimo con me. – Signora, Milano non è nemmeno una città per uomini.

– rilancia lei – ma in un appartamento un cane soffre. Ecco, adesso non so se la signora parlasse per esperienza diretta ma forse il suo cane soffriva perché stava nel suo di appartamento! Nel fiume dei commenti, l’addetta che ci porta in giro fra le gabbie ci spiega: ci sono molti pit bull perché spesso vengono lasciati lì dai padroni al momento del loro ingresso in carcere, poi all’uscita se li riprendono. Alcuni pit bull sono un po’ dei pendolari, dice. Dietro ogni cane una storia, veramente. Le storie sono proprio dappertutto. Sono il tessuto della vita.

Provo a spostare la camera dentro le gabbie. Persone davanti a me che passano e mi indicano e mi dicono che sono troppo vecchio, troppo grosso, troppo pericoloso, troppo brutto. E l’addetta mi spiega che sono stati fatti degli studi sui cani e si è visto che il cane è l’unico animale che elegge a proprio riferimento assoluto l’uomo, anche in preferenza ai suoi simili. Penso che anche molti uomini eleggano a proprio riferimento gli animali piuttosto che i propri simili. In alcuni casi hanno anche ragione.

Sulle gabbie ci sono dei bollini. Verde, cane buono, per tutti. Giallo, cane vivace con qualche margine di imprevedibilità. Rosso, cane cattivello alquanto, meglio non infilare le dita fra le grate. Non tutti i rossi sono pit bull e non tutti i pit bull sono rossi. Anzi, uno in particolare ha una faccia da buono eppure ha un bel bollino rosso sulla rete. Allora chiedo informazioni e l’addetta mi dice che è un cane dolcissimo che però non vuole essere toccato, probabilmente a causa di traumi pregressi.

Ovvio, penso ai padroni dei pit bull in carcere. E penso che siano tutti dei bollini rossi. E penso che come quel cane con la faccia buona abbiano subito qualcosa. Forse non vogliono essere toccati perché lo sono stati violentemente, forse lo desiderano troppo perché non lo sono mai stati. Guai. Guai seri. Dietro ogni cane c’è una storia. Una giovane coppia si porta via un cagnolino splendido, di un anno. Un pelo meraviglioso, un musetto simpatico. Salta corre ed è dolcissimo. La volontaria dice: quando ho aperto la sua gabbietta perché lo volevano vedere, ho capito subito che non ci sarebbe rientrato mai più.

Bisogna avere i requisiti, per funzionare. Seducenti, simpatici, belli come il sole. Anche per loro è così. E con questa considerazione mi sento così tanto superiore agli altri visitatori… Però quel cane… no, non quello là. Quello in fianco, quello che ci sei passato sopra con lo sguardo e sei andato via… per carità non che sia brutto ma se la domanda che ti è venuta è dov’è il naso? forse qualche problema c’è. Quel cane là lo prenderesti… ? Tergiversiamo: non stasera. E poi il punto non è che sia brutto. Non chiedo se abbaia, non chiedo se morde, non chiedo quanto mangi o quanta cacca faccia. Voglio solo essere sicuro: non è che poi recita?

 

0 risposte

  1. Immagino quanta tristezza tra quelle sbarre, ma di un tipo diverso dalla nostra: una malinconia muta, rassegnata, e quindi ancora più commovente in quanto impotente.
    Noi almeno ci sfoghiamo con le parole, i gesti….

  2. Ma forse anche i cani hanno un loro linguaggioo, solo che noi non lo comprendiamo…almeno noi comprendiamo il loro linguaggio molto meno di quanto loro comprendono il nostro.

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