Debutta tra pochi giorni, deve essere presentato con un film. Il film va scritto in poche ore, si sa come vanno queste cose. Il cliente è una grande azienda, e il treno è lì davanti a noi. Sarà quello dei prossimi anni, tutto comfort e sicurezza. Le priorità di questi due decenni sintetizzate in un vagone. Per primi saliamo sul vagone del futuro che arriva.

       Gli ingegneri ci danno i dettagli tecnici. Sono tutti giovani e mi colpiscono molto. Parlano a bassa voce, con grande semplicità perché possa capire anch’io. Mi colpisce il percorso che fanno: di mestiere partono da un disagio – tipo i vagoni troppo rumorosi – lo traducono in calcoli e i calcoli aggiustano la realtà.
 
       E’ tutto un lavoro partire dalla vita e tornare alla vita. E un lavoro ancor più grande tornarci senza far sentire la difficoltà di averlo fatto. Tradurre calcoli complessi e fatica in un comodo sedile, in una luce più giusta. Ma non è neanche questo che mi colpisce. In realtà il fatto è che la fatica di questi ingegneri serve a far sparire la fatica degli altri, dei viaggiatori del futuro.

       Temere uno scippo, stare scomodi, essere frastornati dal rumore, essere in mezzo allo sporco. Viaggiare è anche questo. Eliminare questi aspetti significa farti dimenticare che sei in viaggio, che non sei a casa tua, che non sei comodo, che non sei al sicuro. Ecco cos’è. Cesellare maniacalmente il dettaglio perché la superficie sia perfetta sopra il profondo.
 
       Pensavo, mentre ero sul treno, che per fare un buon lavoro avrei dovuto tornare allo script del film e rilivellarlo, fare come hanno fatto loro, gli ingegneri. La nostra fatica per togliere la fatica degli altri. Avere la presunzione di staccare le persone da terra e di farle sentire leggere, vederle volare mentre ci puliamo le mani dal grasso dei bulloni e delle strutture.
 
      Rimango a pensare che certe cose che mi sembrano nuove comprensioni del mio lavoro, per questi ingegneri sono assodate da sempre, forse da quando facevano l’università. E penso che, quando lavoriamo al meglio di noi, facciamo tutti più o meno lo stesso mestiere: togliamo al mondo il suo peso. Lo rendiamo più vicino a quello che potrebbe diventare. In qualche modo, lo restituiamo almeno in parte a se stesso.

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