Pochi giorni fa mi è arrivata la mail di Raffaele che mi annunciava l’esordio del suo sito personale. Raffaele Solaini è un altro degli amici che mi piace poter segnalare in questo piccolo spazio. Raffaele è un docente dello IED di Milano ed è lì che ci siamo incontrati. Per me è stato subito evidente che avrei fatto bene ad andare alle sue lezioni e a stare il più zitto possibile in sua presenza. Purtroppo la prima cosa mi è riuscita di rado, mentre la seconda – tacere – direi che mi è riuscita nella forma a me più consona dello sviare il discorso.

Cinese antico, dico io. Per indicare qualcosa di inarrivabile. Per me è cinese antico almeno metà di quel che Raffaele insegna. Però quella risicata percentuale che mi sembra di riuscire a  seguire… è fantastica. Il linguaggio che guarda se stesso, noi che guardiamo il nostro modo di guardare. Insomma, temi e campi che mi appassionano e nei quali riconosco di abitare anche io. Ma c’è fra la sua esperienza e la mia una diversità di DNA. Quando lui parla delle immagini e di quel che hanno dentro, delle intenzioni e delle implicazioni, si riferisce a un mondo teorico e analitico per me assolutamente inarrivabile.

Per me l’immagine è fatta di scelte poetiche, di levatacce, di piogge o di caldo torrido, di tensione, di problemi di budget e di controluce. In una scena per me ci sono la sera prima, i cambiamenti dell’ultim’ora, l’intuizione improvvisa, l’accordo o il disaccordo con un attore. Su quel terreno che si trova in mezzo, l’immagine finita e montata, appunto, camminiamo entrambi ogni giorno con i nostri passi diversi. Conoscere l’approccio così diverso allo stesso materiale finale – l’immagine appunto – mi ricorda ogni volta l’incompletezza della mia esperienza. E sarebbe bello per me un giorno acquisire la conoscenza e lo sguardo di Raffaele, ma è impossibile, ognuno ha il suo cammino. Più facile per lui sicuramente seguire uno shooting dal di dentro e versare per un’immagine una stilla di sudore vero.

Un fatto è certo, secondo me. Il percorso di Raffaele non riguarda soltanto l’immagine e la comunicazione ma un modo di vivere. Quello di chi non si accontenta di guardare le cose che ha intorno ma sposta la sua attenzione su ciò che il nostro guardare significa. Guardare il nostro sguardo – tentativo che spesso torna anche in questo piccolo blog – ha  anche il senso di non farci coincidere con noi stessi, apre uno spazio di libertà e quindi di cambiamento possibile, di evoluzione. Per questo, nonostante il cinese, auguro anche a Raffaele un buon percorso con il suo sito.

0 risposte

  1. Grazie
    Grazie per il “cinese”, gergo dal quale uscire appena possibile, per ricordarsi di non innamorarsi troppo del proprio linguaggio e provare a mettere una goccia di sudore nel lavoro.

    Ma, come sai, io vivo un po’ scisso: il sudore va tutto nell’orto dove crescono rose molto belle e dove continuo a aspettarvi.

    Raff

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