Poi fai una verifica e non funziona. L’allieva è vivacissima, propositiva e molto intuitiva. Dopo aver lavorato un po’ sulla struttura del personaggio fa una verifica per i fatti suoi, prende Vertigo di Hitchcock. E scopre che le cose che ci eravamo detti, nel film non ci sono. La struttura, i punti di svolta… ma come, allora che ci siamo imparati a fare questi schemi ?

    E’ bellissimo quando scopriamo un’incongruenza, e ancora di più quando riusciamo a farla diventare grimaldello che dissalda false certezze e apre prospettive che non vedevamo. Certo, gli schemi… nonostante uno si prodighi nel ripetere che ciò che sta spiegando non sono schemi ma forme d’esperienza, non basta mai. Nel momento in cui fai dei segni su una lavagna, diventano legge all’istante, e si ergono a sistema di riferimento.

    In una certa misura è anche giusto che sia così. Una forma di riferimento che ci consenta di prevedere il mondo e di interpretarlo ci vuole. Il problema nasce se per paura di rimanere incapaci di leggere le situazioni, ci aggrappiamo ai nostri sistemi di riferimento e distorciamo la realtà in loro difesa. Peggio che un limite al nostro agire, questo costituisce un limite al nostro capire. Forse in questi casi abbiamo più rapporto con la nostra configurazione del mondo che con il mondo.

    Una storia in qualche modo vìola sempre un certo tipo di struttura. Ma questo non ci impedisce di apprezzarla. Apprezziamo qualcosa quando sentiamo di poterla in qualche modo condividere. Se ci sembra di sentire o di capire quel che sta avvenendo davanti a noi. Anche nel caso in cui quel che sta avvenendo contraddica la nostra configurazione della realtà. Forse ci piace qualcosa quando in qualche modo ne percepiamo un’organicità interna, una coerenza tenuta stretta internamente, anche nella violazione delle congruenze con il resto del mondo.

    Allora più che di strutture, bisognerebbe parlare di quella coerenza che ognuno di noi può trovare quando scrive. La sua, unica e speciale. Ma il problema viene fuori quando si tratta di relazionarsi alla coerenza interna altrui. Cos’è che ce la fa percepire come tale e ce la fa sembrare viva anche quando non coincide con la nostra ?

    Non lo so. Proprio non lo so. Però posso pensare a una condizione che ce lo impedisce. Posso pensare che se non compiamo uno sforzo immane nell’attribuire senso a tutti gli elementi del film che stiamo guardando anche quando non coincidono con il nostro modo di assegnare un significato, se non siamo disposti a mollare i nostri schemi e le nostre strutture, per quanto appena imparate e così belle e lucide, questo miracolo non può accadere. Il miracolo della comunicazione per il quale il senso profondo di ciò che vien detto non è dato da chi parla ma attribuito da chi ascolta.

     

 

0 risposte

  1. La tua riflessione è tanto attuale nella mia vita di oggi. Che però non è un film. Ed è una questione aperta, quasi dolorosa, capire quanto la mia interpretazione della “storia” (delle storie) mi impedisca di comprenderle davvero. Quanto il mio schema possa diventare più forte della realtà che ho davanti. I nostri mondi sono tanto distanti, galassie lontane anni luce direi. Ma relazionarmi con la coerenza altrui, operare scelte che rispettino ed interpretino questa coerenza è proprio quello che mi tocca fare ogni giorno. E le tue domande diventano così fondamentali anche per me.

  2. Leggendo quel che hai scritto mi e’ venuto in mente questo pezzo di Calvino.
    Ciao,
    Anna

    Marco Polo descrive un ponte, pietra per pietra.
    – Ma qual è la pietra che sostiene il ponte? – chiede Kublai Kan.
    – Il ponte non e sostenuto da questa o quella pietra, – risponde Marco, – ma dalla linea dell’arco che esse formano.
    Kublai Kan rimane silenzioso, riflettendo. Poi soggiunge: – Perché mi parli delle pietre? È solo dell’arco che m’importa.
    Polo risponde: – Senza pietre non c’è arco.

    Italo Calvino, da Le città invisibili

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