Ma capita anche di raccontare una storia che si conosce a qualcuno che la conosce già. Non è una cosa così anomala. Tutto il teatro tragico greco narrava storie di dominio pubblico, e l’oggetto vero dell’interesse non era come andasse a finire la vicenda, ma come veniva raccontata. E’ una situazione che si verifica ogni volta che vediamo un film di cui conosciamo la trama, o che ne rivediamo uno che abbiamo particolarmente amato. Ogni volta in cui il film narra una vicenda storica che conosciamo indipendentemente.
L’unico contesto narrativo che non è passibile di ripetizione è la barzelletta. Perché nella sorpresa ha il suo fine e con lo svelamento la sua fine.

    In tutti questi casi, è come se l’importanza del dato comunicato venisse in qualche modo disattivata. C’è un desiderio altro, che è quello di relazione ma non solo. Quando conosciamo già la storia, in luogo della voglia di venire a sapere c’è quella di rivivere un’esperienza. Qui diventa più chiara la vera funzione di un narratore: rendere i fatti presenti lì, in quel momento, attraverso parole immagini e suoni, e rendere il pubblico testimone di quei fatti.

    Ogni elemento del linguaggio trova finalmente la propria ragione di esistere: trasportare. Non farsi contemplare per la propria bellezza, ma servire il viaggio che congiunge i fatti e il clima con il pubblico che ascolta.
Esorcizzata la questione della trama, per certi versi la comunicazione sembra migliorare, aprirsi a più possibilità, ma anche caricarsi di maggiori responsabilità per il narratore. Ha senso rivedere un film o rileggere una storia solo se le immagini e le parole sono davvero evocative di qualcosa di profondo, di magnetico, di emozionante. Se non si limitano a sciorinare una serie di fatti ma ne portano il calore, il colore, l’atmosfera.

    Più profondamente, rivediamo o rileggiamo qualcosa solo se ci mette in contatto con un luogo interno di noi che abbiamo interesse a rivedere, a tornare a capire. Quello che fa una buona storia non è dirci che cosa avviene nella trama e basta, ma mostrarci cosa avviene dentro di noi che la guardiamo. Quando ci parlano di noi, quando toccano il nostro cuore, abbiamo sempre tempo per stare a sentire. Non c’è essere umano che ci interessi di più di noi stessi. Bisogna prenderla con ironia, credo. Siamo fatti così e spesso quando andiamo al cinema a rivedere è solo per rivedere noi stessi. Per rimetterci in contatto con il nostro cuore.

    Entrambe queste situazioni, raccontare una storia a chi non la conosce e raccontarla a chi la conosce, prevedono una condizione di partenza: che la storia la conosca il narratore. Sarà sempre così ?

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