Pietro
lavora con gli assicuratori da molti anni. E’ un abile ed esperto coach per loro. Comunicatore, stratega, e soprattutto curioso. Non sai mai dove potrà andare a finire il discorso perché il suo pensiero è ramificato, inaspettato. Mi propone di passare due giornate con il suo gruppo. Accetto con entusiasmo naturalmente. A parlare di storie. Ma la domanda che aleggia nell’aria è questa: come pensi che possa servire la narratività a un gruppo di assicuratori ? Farfuglio qualcosa e il discorso si sposta sui programmi.

        Poi ci penso mentre torno a casa e mi dico che il pensiero narrativo è di tutti. Se è vero che la nostra storia è il senso che le diamo, è come ce la raccontiamo. E’ anche un modo di dire.  La vita è come ce la spieghiamo. Ma la cosa è anche rivolta al futuro. Ogni volta che diciamo “se” e facciamo un progetto, raccontiamo una storia che speriamo di veder realizzata o di realizzare.

       Non riesco a non pensare – come al solito – che il tutto derivi dalla paura. Perché raccontare significa aver compreso, aver reso dicibile, aver controllato. E comunicarlo significa non doverci fare i conti da soli. Allora se per esempio la storia sul futuro che può raccontarsi un bambino è fatta di avventure sulla luna, imprese ardite e gol nelle finali mondiali, le storie degli adulti hanno margini di oscillazione ben al di qua del possibile. E’ un’inversione curiosa questa: i bambini si perdono nelle praterie delle possibilità infinite senza vedere gli ostacoli della realtà e i parametri che essa pone. Gli adulti fanno il contrario. Terrorizzati dalle possibilità che sono troppe, imprevedibili, destabilizzanti a volte in modo anche letale. E se un aereo su un’autostrada…

       Tutto sta in un’intonazione della voce: nel modo di pronunciare la parola “se”. Progetto o paura. Speranza o sfiducia. Che cos’hanno di diverso gli adulti dai bambini ? Una diversa quantità di storie a disposizione. Quelle passate. La cosiddetta esperienza, o la “saggezza” dell’ultima canzone di Fossati. Ecco cosa li differenzia. Perché modelliamo il futuro sul passato, le storie possibili su quelle già vissute, la vita da vivere sulle storie raccontate. Doveva essere il contrario e invece è così: la vita si plasma sulle storie che raccontiamo. Forse per questo le storie dei bambini – di quelli fortunati –  hanno più spazio: perché hanno ricevuto meno no. Perché mancano le altre storie con i loro fantasmi e i loro steccati.

       L’assicuratore ti assicura rispetto a ciò che il passato ci insegna poter avvenire in futuro. Vediamo se riusciamo a passare due giorni in cui ci esercitiamo ad assicurarci dai danni che queste storie passate creano sempre nella nostra capacità di dire “se” senza paura. Ma ho paura di doverlo ancora capire io !

       

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