Montorso Vicentino scorre fuori dal taxi. Capannoni in vetro e gasbeton, vigneti tagliati da strade nuove, una pianura di campi puntellata di autovelox e semafori. Qualcosa c’è ancora,  di quello che c’era un tempo, qualcosa è come dimenticato. Lui è al suo ultimo giorno di lavoro. Ci chiede la cortesia di fermarsi. Deve riconsegnare la licenza che ha affittato. Chiude con noi. Ha bisogno di dirlo, al mio compagno di viaggio e a me. Il mio compagno di viaggio è un attore giovanissimo, alto circa 1,90, fisico trasparente e lineamenti sottili.

    Così se Dio vuole anche questa è finita. Ha i capelli bianchi sporchi, spettinati. Non sa come scusarsi per la piccola deviazione. Faccio partire il tassametro tra un po’ così andiamo in pari.  Ma l’amico della licenza non c’è. Doveva aspettarlo lì ma non si vede. Se lo scusiamo  prova a passare in sede. E’ un commiato, e mi viene in mente che siamo dei privilegiati: l’inizio e la fine sono l’inaugurazione del tempo e la raccolta del senso. Fa un certo effetto essere il cliente di chiusura di tutta una storia.

    Non possiamo esimerci e annuiamo. Attraversa la strada correndo, le spalle curve di un uomo ancora troppo giovane per essere così stanco. Non sa come ringraziarci. Prima non sapeva come scusarsi ora non sa come ringraziarci. Mi guarda dallo specchietto. Un occhio verde che dev’essere stato capace di sguardi e che ora è letteralmente disarmato. E’ che qui è troppo dura. Troppo dura. Puoi stare in macchina anche un’ora e poi fare una corsa da sei euro. Con i tempi che corrono il taxi non lo prendono più.

     La nuova rotonda, poi un pezzo di ponte, poi un’altra rotonda nuova. Io prima avevo la licenza mia. Poi l’ho venduta, volevo aprire un’altra attività. Poi l’attività è andata male perché adesso va male tutto, e allora sono finito in una cooperativa per il lavoro. Ho fatto di tutto, i lavori peggiori che uno non vorrebbe fare mai. Poi sono riuscito a riottenere una licenza in affitto. E oggi l’affitto scade. Guardo distrattamente il mio compagno di viaggio, è serio e lo ascolta ma non sente il punteruolo nello stomaco che sento io. Non sono meglio di lui, sono solo più vecchio, e né io né il taxista siamo mai stati belli come lui.

    E poi non sembra ma certe cose cambiano anche le relazioni. Allora magari anche la moglie non ti sopporta più nemmeno per mettersi a tavola. Perché ho venduto quella licenza. Ecco cos’è: sono gli zigomi così tesi che lo rendono livido e vecchio. Ho cinquant’anni, cosa faccio? Cinquanta con l’aggiunta di tutti i silenzi. Cinquanta meno tutte le parole che non ci sono più, che non bastano a spiegare la depressione che lo costringeva a fermarsi, scusarsi con il cliente, chiamare un collega. Il panico della strada di cui non è mai venuto a capo. Lui e la moglie hanno perso i genitori in poco tempo e questo è stato il risultato su di lui.  Se non avessi venduto sarei morto.

    E’ stato coraggioso a vendere, provo io. Ha fatto bene.  Ha scelto di provarci. Se non l’avesse fatto magari oggi si accuserebbe di essere rimasto al palo, con un taxi che per quanto suo oggi avrebbe comunque reso di meno. E poi mi scusi sa, ma la partita non mi sembra finita. Ha cinquant’anni. L’occhio verde mi sbircia dal finestrino. Poco sotto ha un piccolo neo nella stessa posizione di De Niro. Ha portato migliaia di persone dove dovevano andare e ha smarrito la propria meta. Sento nello stomaco la possibilità continua che questo accada anche a me. E’ che così non si ha nemmeno tanta voglia di tornare a casa sa.  Sì, ho letto da qualche parte che in effetti per trovare la via di casa bisogna avere una casa.

     Aspetti ma lei diceva Montorso? No perché allora… oh mamma mia… Eravamo persi. Gasbeton e vigneti. Ovunque. Ci abbiamo messo un’infinità. Si scusa. Si scusa sempre. Anzi, non sa nemmeno come scusarsi. Trova un accordo di massima con il nostro cliente che lo paga, e dimezza la cifra. Mi sono perso, scusate. Prendo la valigia e il computer. Il cast di giovanissimi attori è pronto a iniziare le prove, madido di futuro. Ho ancora il tempo di uno sguardo: ci siamo persi insieme. E ora siamo qui.

      

0 risposte

  1. I percorsi di un taxi assomigliano a trame invisibili, in cui si cuciono insieme pezzi di luoghi, pezzi di vite. Ma le geografie, anche di sentimenti, sfuggono durante il tragitto, dove spesso è vertigine del vuoto. Poi il sole sorge sempre. Tutto sta ad accorgersene, perché al buio ci si abitua.

  2. Quando chiudi la porta gialla sei ancora sveglio se sai che ti stai muovendo, e non per merito tuo.
    C’è qualcuno che guida, forse te ne accorgi. Ma è così anche nella vita? Ci illudiamo di essere noi a scegliere ma il fatto esilarante è che il volante è afferrato dalle mani sconosciute delle nostre sensazioni, dei nostri pensieri. Facciamo gran sorrisi al conducente “Prego, vada, vada” -tanto ho deciso di lasciarmi portare, di lasciarmi andare-ho scelto-! Strana scelta quella che ti porta non sai dove, nè a che prezzo.

    Stump, la porta gialla si è chiusa: sei sveglio?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *