Francesca, la segretaria di edizione di ‘A tutto quello che si muove’, mi passa un libro del nonno. Arturo Lanocita, “CINEMA ’50Pagine scelte di un critico militante“. Una raccolta di recensioni pubblicate sul Corriere della Sera di quel decennio. Ci sono tutti i più grandi film dell’epoca. Naturalmente corro a controllare e sì…. c’è. L’esordio di François Truffaut, secondo il critico del Corriere della Sera di allora. Non potevo non condividere una chicca così.

 

 

 

    I QUATTROCENTO COLPI – LES QUATRE CENTS COUPS, 1959 

    L’eretico è entrato nel tempio. Il giornalista François TRuffaut, nemico irriducibile del Festival di Cannes, che un anno fa sembrava disposto a incendiare il Palazzo del Cinema, non solo metaforicamente, è divenuto regista e col suo primo film di lungometraggio, Les quatre cents coups, presentato stasera, ha affermato il suo diritto di essere ascoltato. Probabilmente, aveva torto quando blaterava ingenerosamente contro tutti, non è vero che gli altri siano, in blocco, idioti e che egli solo abbia ingegno. Ma ingegno ne ha, e anche ha qualcosa da dire.

    Il cinema francese, lo si è già detto, è rappresentato stavolta a Cannes da questo suo spietato avversario. Egli non riconosce meriti che al regista Renoir, forse perché Renoir tace da un pezzo e vive della reputazione acquisita. Ha un carattere pessimo, permaloso e rissoso. All’origine della sua controversia con il Festival era, l’anno scorso, la circostanza che era stato rifiutato un suo documentario, Les mistons. Si trattava di una rappresaglia ingiusta.

    Ma un’opera non va giudicata sull’indole del suo autore; chiunque lo abbia diretto, Les quatre cents coups è un film di rilievo, alimentato di verità, al quale non poteva essere negato un esame serio. Dal principio alla fine, si avvertono i pregi e i difetti di un lavoro giovanile, e cioè si apprezzano le esuberanze e spiacciono gli eccessi: ma se la funzione del Festival è anche quella di rivelare il nuovo, Truffaut non ha scroccato il suo ingresso. Bisogna ricondursi, per trovare un’analogia di ispirazione e di trattazione, a Jean Vigo… (…).

    Il film è tutto di constatazione. Carenza d’affetto, intolleranza di controllo, ansietà di indipendenza. Ecco Antoine che ruba una macchina per scrivere, con un compagno, eccolo trascinato davanti al giudice dei minorenni, e poi nelle guardine della polizia, accanto a donne di malaffare, e poi nell’istituto dei corrigendi e quindi in fuga alla scoperta del mare. La vicenda è fragile, praticamente inesistente: fra l’altro, questa evasione verso il mare si rintraccia, come motivo retorico, in tutti i racconti sull’adolescenza.

    Ma non c’è annotazione che non sia suggerita dall’amore del vero: lo squallore della casa di Antoine, ad esempio, l’inimicizia delle strade e della folla di Parigi, una Parigi prodigiosamente esatta, con la lusinga dei richiami e l’impenetrabilità dell’indifferenza. Il piccolo malandrino è troppo solo nella grande città troppo gremita: solo fra le mura screpolate della sua casa, solo nell’aula ammuffita della scuola.

    Questa materia, lo si indovina, Truffaut l’ha macerata per molti anni dentro di sé. Saprà dire altre parole importanti, dopo aver raccontato se stesso ? Tutti sanno scrivere il primo atto di una commedia: e gli atti successivi ? A Les quatre cents coups va rimproverato il troppo sangue: è una felice colpa dei giovani, non saper rinunciare a qualcosa. A molte sequenze avrebbero giovato i tagli: anche a quella, mirabile, dell’interrogatorio nella casa di pena, anche a quella della fuga. Il piccolo Jean Pierre Leaud, il tredicenne figlio dell’attrice Jacqueline Pierreux, è un protagonista sensibile, spontaneo, attendibile in ogni atteggiamento.

Arturo Lanocita, 5 maggio 1959 (da Cannes) 

0 risposte

  1. E’ ovvio. Ma che emozione accorgersi che alcuni pensieri, alcune opere siano sempre vere. Senza che il tempo le possa mutare. E che assumendo forma moderna di un post su un blog (ma che lingua è?!) riviva come fosse presente!
    Una dovuta nota: Arturo Lanocita è fratello di mio nonno, Rodolfo.
    Grazie, Giò.

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