Mentre la metropolitana corre sotto la città prendo qualche appunto. La prima cosa che scrivo è che ci sono momenti in cui l’illusione è fortissima. Penso all’illusione di essere diversi da ciò che ci scandalizza o che ci altera o che ci terrorizza. Separati e distinti da ogni forma di diversità. Così è per the shooter, il ragazzo di vent’anni che ha fatto strage di bambini a Newtown. Provo ad ascoltare uno per uno questi 100 colpi. Non finiscono mai. Li conto tutti uno per uno ma non riesco a domandarmi se il prossimo sarà per me perché non ho la capacità di andare così a fondo nella mia immersione. Vedo la porta dell’aula aprirsi e un ragazzo aprire il fuoco su di me e sui miei compagni. Vedo teste spaccarsi, corpi scaraventati, costati rompersi sotto i colpi. Lui là, noi qua. Lui che spara noi che moriamo. Lui davanti a noi. Lui contro di noi. Separati e distinti.

I vetri delle case in cui vivono i bambini in questo periodo sono bagnati e freddi all’esterno e asciutti e puliti all’interno. Servono alle loro manine e ai loro occhi per applicare decorazioni e mostrare a tutti quanto sono bravi. Una parte bagnata e fredda, una parte decorata pulita e calda. Ma sono due superfici dello stesso vetro. Lui contro di noi, lui che spara, lui che uccide e noi che moriamo siamo due superfici diverse dello stesso vetro. Se non superiamo l’illusione di questo conflitto – che però uccide per davvero, come sempre i conflitti apparenti – non ne usciamo.

Più il conflitto si fa doloroso, letale e feroce più possiamo chiederci quale sia la sostanza di cui rappresentiamo i due lati opposti. Il pavimento è lo stesso per the shooter e per i bambini che ha ucciso. Entra a scuola e uccide la madre insegnante, poi pensa al resto. E la mia pancia sente che quella è la strada. La mamma. Il nostro disperato bisogno di mamma. La mamma aveva detto che ci sarebbe sempre stata. Dov’è la mamma di Jack intanto che la pallottola lo trapassa davanti a me? Dov’è la mia adesso che ho paura? In questa scuola mi ci ha messo lei, mi ha salutato con un bacio stamattina e sembrava tranquilla. Perché non è qui adesso che sto morendo? Nel terreno sanguinante di questo dolore da abbandono, al capo opposto si trova Lanza, the shooter. Non facciamo altro che dipingere intorno a noi il nostro paesaggio interiore e questo era il suo. Quei bambini martoriati sono sempre lui, il conflitto non esiste, esistono solo i morti per terra. Quei colpi inferti nei corpi dei bambini sono le fotografie della sua coscienza, sono i colpi che a torto o a ragione sente di aver subito lui. Ce lo sta dicendo e anche se lo sta facendo nel modo più aberrante è quello che sta realmente facendo.

Mi guardo dentro fin dove ho coraggio e so che dentro di me i pezzi per diventare the shooter ci sono tutti. Credo che ci siano dentro ognuno di noi. Siamo la merda e il sogno più alto, la marcia per la pace e la guerra chimica, l’atto di coraggio e la vigliaccheria quotidiana. E’ un vero problema, perché ancora una volta ci si spalanca l’abisso della scomparsa del cattivo. E’ un disastro quando ci viene tolto il cattivo, quando ci viene detto che the shooter non era un cattivo. Ci dà molto fastidio perché qualcosa dentro di noi ci suggerisce che se il cattivo non esiste non esiste neanche il buono. E il buono siamo noi. E allora chi siamo? L’assenza del cattivo mette in crisi la nostra identità prima di ogni altra cosa. Un giorno un ragazzo di vent’anni è andato nella scuola in cui lavorava la sua mamma per dirle tutta la sua rabbia per qualcosa che sente di non aver ricevuto. Quel giorno a scuola c’erano dei bambini che per un momento hanno sperimentato la stessa tragica assenza. Chiamavano tutti la mamma: uno sparava perché la mamma non aveva saputo, voluto o potuto accudirlo, gli altri sono morti perché la mamma non poteva accudirli in quel momento.

Cerchiamo solo questo, qualcuno che ci voglia bene. Ma deve avvenire in tempo, deve avvenire in un momento della vita che non può essere rimandato, quello in cui impariamo l’alfabeto delle relazioni e dei giorni. Il momento dei mattoni che si fissano e si strutturano in un disegno di senso. Quel tempo si chiama infanzia e non può essere sostituito con nessuna terapia successiva. Riemergeremo da questa cascata di paura disastrosa di non essere amati solo quando rinunceremo ad essere i buoni, quando sentiremo quel fucile puntato verso di noi come la paura di chi lo impugna. Quando smetteremo di credere che le superfici del vetro decorato e bagnato siano due vetri diversi. Nel frattempo questa strage è andata. Sento di esserci morto, sento di aver ucciso, perché partecipo della stessa sostanza che unisce the shooter alle vittime. C’è bisogno di piccole cose, di cose carine, di cose semplici. Di presenza. Di continuità. Di fedeltà. Sono sempre più convinto che il mondo lo salveranno le madri.

0 risposte

  1. Il mondo lo salveranno le madri? Forse, ma la madre di Lanza non ha salvato Lanza e neanche i suoi allievi. Le madri sono come tutti gli altri, amano i loro figli, li amano troppo, a volte troppo poco, le storie personali delle madri si intrecciano con il destino dei figli. Qui c’entra la società che deve vigilare, cioè tutti noi che dobbiamo stare attenti, non sottovalutare i segni: porta i figli al poligono, fa raccolta di armi…c’è qualcosa che non va? Ma noi non dobbiamo farci i fatti nostri? Perché ci impicciamo? Chi ce lo fa fare? Non stiamo esagerando…e così via.
    Il mondo si salverà perché per fortuna c’è sempre qualcuno che sta attento, si “impiccia”, interviene. Per quanto mi riguarda quelli che si “impicciano” sono sempre troppo pochi.

  2. “Guardatemi, perchè non vedrete più un vero cattivo come me…voi avete bisogno di me..” eh si, sembra incredibile, ma il mondo sa già tutto di se stesso, eppure reitera sempre le sue medesime azioni. Un puntino bianco in un mare nero, un puntino nero in un mare bianco. Medesimo mare. Medesima lastra di vetro. Questa è la Regola del Mondo. O la si accetta o il tuo conflitto (e le tue Ferite) non terminerà mai.

  3. Sento il peso della responsabilità nelle parole di Elena…. troppo, poco, ma l’amore deve essere prima di tutto vero, non riesco a pensare che the shooter abbia sentito amore vero attorno….

  4. Credo che sia impicciarsi che farsi i fatti propri siano due aberrazioni relazionali. Forse possiamo cercare la strada – come dice Mauro – della responsabilità. Rimanere nei nostri confini non smettendo l’attenzione intorno, vigilare senza invadere, accettare di essere vigilati a nostra volta nei nostri deragliamenti. E’ una lenta costruzione comune, credo. Grazie di essere passati di qui.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *