No man is an island.
Ogni minuto di True Detective mi ha rimandato a questo verso di John Donne. Caino e Abele ora si chiamano Rust e Marty, fanno i detective ed entrambi sono reietti dal regno della luce. A Marty/Abele è stato risparmiato l’essere ucciso da Caino/Rust. Ma il prezzo è altissimo. Morendo, Abele non sperimentò i problemi della durata e delle nebbie del viaggio. Per Marty invece la vita è più lunga e nel percorso esce senza saperlo, volerlo o capirlo dal regno della luce e si connette alla tenebra del tradimento, del segreto e del vizio. Per Rust le cose sono diverse. Rust è orfano da sempre, orfano della vita che gli ha tolto una figlia piccola e lo ha spinto alla rottura con la sua compagna. Senza donna né figli ha capito molto presto che quaggiù non c’è nessuno che si occupi di noi, che aiuti la nostra vita al posto nostro. Non ha fiducia in nessuna istituzione o decisione o ufficializzazione di alcunché. Devi fare da solo e sarà meglio darsi una mossa.
Marty ha una bella moglie e due figlie e a guardare la sua vita da fuori sembra proprio che Dio abbia detto sì alla sua vita. Abele identifica questo sì di Dio con la prova del suo amore, mentre Caino identifica il no di Dio con il suo non amore o con la sua non esistenza. Nel loro diverso destino sono davvero fratelli. Fratelli di un padre che non c’è, fratelli nella scoperta della sua inesistenza o della sua lontananza. I percorsi che compiono sono concentrici ma non sono uguali. Per Marty è una progressiva disillusione, quella che si compie nell’innocente che è in ognuno di noi.
Queste due posizioni scatenano – corroborate dai fatti – una guerra senza fine tra i due, con un pestaggio epico davvero da Caino e Abele. E la guerra scende fra di loro come un macigno.
Marty è come l’innocente, che definisce i problemi interni alla sua relazione utilizzando delle sovrastrutture applicate alla relazione stessa. Un po’ come se un medico pensasse di non potersi ammalare dato che è medico, o un benzinaio di non poter rimanere a secco dato che è benzinaio. Lo stesso è per Dio: non può essere cattivo dato che è Dio. Non può permettere il male dato che è Potente. E così per la sua vita: non può saltare la sua famiglia dato che ha un lavoro due figlie e una bella moglie. L’innocente si fida di una fiducia immatura e mal riposta, che in realtà non è fiducia ma strenua e inconsapevole ricerca di dipendenza, quindi di non responsabilità.
Il fratello Rust, invece, non avrebbe potuto nemmeno volendo farsi illusioni sul fatto che la vita sia un luogo piacevole da attraversare. E commette la stessa ingenuità che ha commesso Abele – la cui radice significa “Vuoto”. Sia Caino che Abele condizionano il loro credere alla congruenza della risposta di Dio con le loro aspettative. Se Dio c’è risponde quel che voglio io e quando chiamo io. E siamo al punto essenziale della questione: che così facendo Caino e Abele diventano creatori di un Creatore a loro immagine.
Deragliati, bellissimi e feriti nel corpo e nelle parole, Marty e Rust indagano. Cercano. Un killer sta togliendo in modo pittoresco e raccapricciante donne e bambini al paese. Donne e bambini sono la stessa cosa che manca nella vita di Rust. Come sta accadendo al paese, così è accaduto a Rust. Per questo capire cosa ci sia sotto è per lui – ma anche per Marty – un modo per capire cosa ci sia sotto la propria vita. Questo è il gancio che connette il profondo al mondo. No man is an island.
Che cosa significa cercare? Significa non accontentarsi delle risposte evidenti, di quello che si vede e che si sente sulla superficie della vita. Significa cercare una consapevolezza, diventare appunto abili a rispondere, respons-abili. E non parla d’altro il film, se non della necessità di diventare responsabili di se stessi e degli altri. E’ su questo tema profondo che scorre la loro ferita di profondità, che permea quasi ogni azione fisica che compiono: la privazione che li spinge al sesso compulsivo e distorto, al fumo e all’alcool assunti in proporzioni quasi grottesche. Recuperi. Recuperi di un amore che sentono di non aver ricevuto. Marty ha tutto quel che è stato tolto a Rust ma non ha la capacità di sintonizzarcisi. Rust è molto sintonizzato sulla propria solitudine profonda e ha sviluppato una capacità empatica universale: sente la solitudine di tutto il mondo, sente anche quella di Marty. Ma né l’uno né l’altro riescono a venire a capo di se stessi e del mondo che li circonda.
Perché quel che dicevo del medico e del benzinaio si fa clamoroso per loro: siamo detective, siamo i custodi del mondo, quindi non ci può essere il male. Il risveglio da quest’illusione infantile dura tutta una vita. Ogni discorso che Marty e Rust fanno scivola sul piano inclinato di questa amarezza profonda: io sono il detective eppure il male è tutto intorno a me. E dentro me. Allora facciamoci due conti: a questo punto della vita abbiamo due esistenze completamente deragliate, un caso gravissimo irrisolto, quindi una strage che continua, e tanta tenebra dentro. Così, a tutta prima non sembra che Dio o la vita abbiano dato questa gran risposta alle loro ricerche. Chiedete (in questo caso di capire) e vi sarà dato sembra più che altro una presa in giro.
Ma qui c’è lo scarto poetico e drammatico del film: attraverso il non capire, il non ricevere risposte chiare dalla realtà circostante nonostante tutto l’impegno, il talento e la dedizione senza paura che mettono nell’impresa, avviene qualcosa che loro stessi non pensavano e che non stavano cercando. Quella pace che non riescono a portare nel paese, arriva piano piano tra loro. La non risposta di Dio e della realtà erano invece una risposta diversa da quella che loro erano in grado di capire. Un indizio che non avevano letto. Un segno mal interpretato. Caino e Abele trovano un’intesa e l’indagine sul mondo ha risolto un problema interno e apparentemente irrisolvibile come la guerra che era nata fra loro dall’inizio. Come dire che chiedete e vi sarà dato non significa che vi sarà dato quello che chiedete. Forse qualcos’altro e ci metterete molti anni di indagine per capirlo.
La fiducia passa anche dai no. E non è condizionata ai sì. Nessuna relazione autentica si costruisce cercando di essere sempre piacevoli e Marty e Rust ne fanno esperienza fino in fondo. Sarebbe lunghissimo parlare della regia, ma l’ho trovata meravigliosa. Perché l’estetismo di cui gronda è fondato proprio nel tentativo di costruire un Eden perduto e malato, una bellezza cui è stata rubata l’anima. Involucri, fantasmi, solitudini. Wow, ragazzi. Confesso solo che avrei preferito un finale diverso, o meglio un taglio precedente. E’ un gusto personalissimo non motivato tecnicamente, ma se i due fossero morti nello scontro finale con il mostro, alla fine per me si sarebbe compiuto come un sacrificio totale e pulito del loro percorso: avevano capito quello che dovevano capire, sarebbero andati in pace. Ma capisco che all’HBO abbiano altri pensieri e in effetti nemmeno questa settimana mi hanno chiamato per collaborare con loro.