Who's Romeo

 

Mi è difficile raccontare Who’s Romeo, anche perché credo che un film debba avere la forza di raccontarsi da sé. Ma ci sono alcune cose che mi piace condividere riguardo  questa piccola grande avventura. La prima è che attraversare questi due anni di riprese è servito a farmi capire meglio che cosa mi piace del cinema e che cosa ci trovo di così seducente.

Mi innamorai del cinema a 16 anni. Ero alla Biblioteca Sormani di Milano, infilato in sala video anziché a tradurre la versione di latino. Guardavo “L’amour en fuite” di Truffaut. C’erano troppe donne troppo belle per immaginarsi qualcosa di più elettrizzante.

Non capivo che le donne troppo belle erano dappertutto, anche vive intorno a me. Non ci sarebbe stato bisogno del cinema per averci a che fare. Non capivo che quella bellezza era lo sguardo di Truffaut. La verità di quello sguardo. Sentivo la differenza tra i suoi film e un catalogo di moda, ma non sapevo perché. Avrei risposto che mi piacevano proprio quelle attrici che sceglieva lui.

Ci sono voluti moltissimi anni per arrivare a capire che il baricentro di tutto era la verità del suo sguardo. Che non mi interessava altro, non amavo altro che la verità dello sguardo sulla vita. Entrare nella verità di un’altra persona e vedere il mondo con i suoi occhi mi aiutava a vedere un po’ meglio il mio stesso modo di vedere e soprattutto che anche il mio era solo un modo di vedere e non il principio di realtà che pensavo. Era una via per incontrare gli altri in una dimensione diversa da quella delle regole della vita sociale, ma anche da quella delle regole della natura. Perché scoprivo che si poteva volare, comprimere il tempo, spezzarlo, negarlo, farlo scivolare. Capivo qualcosa per la quale non c’erano parole e al tempo stesso era esperienza comune.

Tutto questo mi faceva battere il cuore. Ma c’erano – e ci sono – ancora molti ostacoli per arrivare a farlo battere liberamente. Con questi discorsi non si mangia, non si fa una famiglia, non si dà una stabilità a nessun tipo di futuro. E il cinema che paga difficilmente ha a che vedere con i significati. Tantomeno in Italia. E dopo una serie di anni in cui tenti strade piene di compromessi, un giorno tutto si semplifica e accetti il fatto che la verità a compromessi non scenda.

Appena hai abbastanza risorse – moltissime umane, di talento, di amicizia, di intelligenza, di spirito – accetti di giocare la partita con quello che c’è. E scopri che ti va benissimo, perché è tutto regalato. C’è una sola cosa che non deve mancare mai: la verità davanti alla camera. Ma la condizione che pone la verità è di essere libera. Se non siamo liberi non siamo noi, quindi non siamo veri. Quando ti innamori di questo livello, il resto non conta più. Non contano i soldi – che guadagni con un altro lavoro qualsiasi – non conta il successo, che pertiene ai registi molto più che ai filmaker. Conta incontrare più persone possibili e più confronti autentici possibili attraverso le storie.

La seconda riflessione che per me esce da questo film riguarda il significato del dire la verità. Non basta che quel che avviene davanti alla camera sia vero, bisogna anche che sia comprensibile nei diversi piani su cui si articola. Dire la verità non significa solo dire quel che è vero ma anche che sia vero che lo stiamo dicendo. Che la nostra lingua parli mirando al cuore, all’occhio e all’orecchio degli altri. E cioè che in luogo dell’attenzione verso il nostro stile ci sia l’attenzione verso chi ci seguirà nel discorso.

Il baricentro del tuo linguaggio è l’orecchio di chi ti ascolta. Il tuo stile profondo è il tuo modo di trovare il cuore dell’altro. Credo che tutta la riflessione sul linguaggio cinematografico dovrebbe ruotare intorno a questo centro in continua evoluzione: come passare la vita di bocca in bocca. Nel caso del nostro film, come raccogliere in un  solo progetto le parole di Shakespeare, quelle dei ragazzi del Gratosoglio, quelle di un Docente di Filosofia e quelle di un Agente di Polizia e mille altre diverse. Come far diventare tutti questi linguaggi la lingua del film.

E quel che abbiamo trovato è che tutte le lingue diventano una lingua sola se ogni lingua è integralmente rispettata per ciò che è. Significa modificare la nozione di “lingua corretta”, accettare l’oltre e l’altro come dizionari di una grammatica nuova. Abbandonare alcune solidità che da sempre costituiscono la nostra lingua per aprirsi a contenuti ogni volta da tradurre, da verificare, da fraintendere per poi intendere. E forse questo ci libererebbe da molte guerre: abituarci all’idea che parlare sia tradurre. La vera lingua universale forse è la traduzione continua. Una grammatica fluttuante e di volta in volta impervia o distesa che continua a significare il nostro volerci intendere e il nostro volerci incontrare.

La terza riflessione riguarda il fatto che questa famosa verità da dire, io non ce l’ho. Anzi, ho intitolato il film con una domanda senza punto interrogativo, come quelle che ci facciamo nella mente. Secche, affermative. Senza cortesie. Forse anche per questo un film così non lo avrebbe mai prodotto nessuno. Non si può andare da un produttore a dire che non hai niente da dire ma molto da capire. Simpatico, ma fallo a spese tue. Ed è giusto che sia così. Se fai un film per capire ti muovi come chi cerca di capire, cioè taci e ascolti. Senza sapere dove ti porteranno le parole che sentirai e sperando di saper ascoltare tutte le risposte.

Che cosa sia Who’s Romeo me l’hanno spiegato di volta in volta i ragazzi del Gratosoglio, Shakespeare, gli ospiti che fanno parte del nostro cammino e Valentina Malcotti, che è stata il crocevia di questo molteplice ascolto.

Spero di aver parlato il meno possibile del film, spero che riuscirà a farlo da sé. Non esiste un ringraziamento adeguato per tutti quelli che hanno fatto questo viaggio con me. Perciò semplicemente grazie di cuore. Buon viaggio.

0 risposte

  1. Grazie Giovanni, per queste riflessioni. Che aiutano, chi voglia farlo, a capire il vero senso del vivere. Che è così difficile trovare e molto facile perdere. E grazie soprattutto per il dono che ci fai con il tuo film. Un abbraccio

    Maurizio

  2. Grazie Giovanni, per queste riflessioni. Che aiutano, chi voglia farlo, a capire il vero senso del vivere. Che è così difficile trovare e molto facile perdere. E grazie soprattutto per il dono che ci fai con il tuo film. Un abbraccio

    Maurizio

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