Venerdì sera. Borbotto ancora e mugugno tristemente sulla “Paolo Grassi”, su Milano e la sua politica. E come al solito latro tutto il mio disappunto. Samuele sta studiando i Celti e Giada mi assicura che leggere una paginetta del suo testo di storia mi aiuterà a sentirmi un po’ meglio. Detto fatto, Samuele mi porta il suo testo e mi sottopone la cosa. In effetti conoscere le proprie radici fa star meglio, se non altro uno si spiega alcune situazioni, “Paolo Grassi” inclusa. Mi sembra carino poter condividere le origini di cui in Lombardia si va giustamente fieri.

“Con l’età del ferro l’Europa iniziò a diventare il centro della civiltà umana. Le invasioni delle tribù indoeuropee popolarono il continente, e da esse nacque un nuovo grande popolo: i Celti. (…)

Erano un un popolo particolare senza dubbio: essi erano spaventosi a vedersi e ancor più da affrontare in battaglia. Erano sempre in movimento, incapaci di star fermi a lungo in uno stesso luogo, ma allo stesso tempo erano attaccati alla terra e capaci di lavorarla.

Amavano vagabondare, erano avventurosi e desideravano mettersi alla prova con tutti e con tutto. Amavano moltissimo bere (la loro bevanda preferita era la birra) e passare le serate facendo grandi banchetti. Si vantavano moltissimo: con i loro racconti volevano impressionare chiunque, amici e avversari, ed erano sempre pronti alla sfida e alla battaglia.

Dicevano di non aver paura di nulla e di nessuno, ed era certo vero: erano grandi, grossi, dai capelli chiari che pettinavano all’insù con enormi baffoni spioventi. (…) La loro sola paura era… che il cielo potesse cadere sulla loro testa. Erano infatti molto spaventati dai temporali!

I loro sacerdoti si chiamavano druidi. (…) La sapienza dei druidi era racchiusa in lunghi canti poetici che venivano imparati a memoria, perché i celti si rifiutarono sempre di usare la scrittura. Per la loro religione i Celti praticavano sacrifici umani e credevano nella magia. (…)”

Ecco, appunto.

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