Vedendo il film di Vittorio mi vengono in mente un po’ di cose in disordine e le dico così come sono perché mi aiuta a rimetterle in fila. Un primo aspetto ovviamente è quello della bella notizia – che vivo con un filo di senso di colpa – che anche con pochissimi mezzi si può fare del cinema e lo si può fare con una grande qualità di significati e di linguaggio. Altro è dire che poi questo cinema così intenso possa – nei suoi modi video e poveri – sedurre un numero sufficiente di spettatori in sala e ripianare i costi produttivi. Ma questa scommessa per un filmaker è spesso un postulato di partenza.

La povertà di mezzi, dicevo. Che non diventa mai miseria, è fatta ragione di stile e di rigore. E con questo anche la televisione viene un po’ sbugiardata: si potrebbe girare meglio tutto, anche le news. Ma la cosa che mi tocca di più di questo film è il cuore con cui le storie sono state scelte, avvicinate, penetrate con un bisturi affilato e gentile. Mi rendo conto che rischia di essere un’affermazione retorica, però le cose hanno il valore che gli diamo, e dare valore significa in qualche modo amare. In Eva e Adamo c’è un campionario divertentissimo, commovente, inquietante, sorprendente dell’amore e dei suoi derivati attraverso i quali diamo valore alle cose.

Su tutte queste diversità si stende lo sguardo sereno, amico, controllato e partecipe di Vittorio. Nessun giudizio, nessun commento. Ma anche nessuna distanza “giornalistica” da chi viene ripreso e nessuna distanza “d’autore” rispetto a chi guarda. Definirei questo film – che si presenta come documentario – un autentico documentario d’avventura, se mai esistesse il genere. Un’avventura in un luogo che può essere lontanissimo da noi e che ognuno di noi si porta dentro: il cuore con  le sue assegnazioni di senso e valore.

Parlando con Vittorio gli ho mosso soltanto un’obiezione: tutte le storie sono fortemente connotate, quasi estreme nelle diverse direzioni e questo rischia di diminuire il senso dell’indagine nelle vie dell’amore in questo tempo: non si può analizzare un’epoca a partire dai suoi estremi e dalle sue eccezioni. Poi mi sono risposto da solo: a parte il fatto cinematografico per cui gli estremi sono più divertenti, ciò che dà a una storia il suo significato è una danza fra chi racconta e chi ascolta.

Se una vicenda è estrema, gli occhi con cui Vittorio la guarda sono una guida proprio a questo tempo che stiamo vivendo: disincanto e dolcezza, precisione chirurgica e in ogni caso speranza. Esercizi di sguardo di cui sono molto grato. Mi giunge oggi la notizia che il film ha conquistato un’altra settimana al Palestrina di Milano e sarà in sala fino a domenica prossima.

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